Arriva all’ultimo capitolo l’avventura narrata in “L’isola”, album del cantautore rock Luciano Tarullo, uscito lo scorso aprile. E lo fa con un ultimo estratto: “Benvenuto”.
“Benvenuto” è una delicata ballad per pianoforte e voce, scarna ed essenziale, emotiva e struggente.
«È una canzone scritta di getto al pianoforte, e registrata così come è stata scritta, pianoforte e voce, dal vivo, senza filtri, senza tagli, nella sua assoluta semplicità e autenticità. È una lettera che ho scritto a me stesso e immaginato di spedire ad un Luciano nato da poco, ancora inconsapevole di tutte le scelte che farà nel suo futuro, delle strade che percorrerà, degli amici e degli amori che incontrerà nella sua vita. Una canzone da dedicare. Da dedicare alle persone a cui teniamo di più, perché è una canzone che parla di coraggio, di come sia importante essere consapevoli che la vita è il dono più prezioso che abbiamo nonostante tutte le sue difficoltà e contraddizioni».
Il brano, che si discosta dalla matrice rock dell’album, è stato registrato dal vivo durante una live session presso il live club Officina72 di Agropoli (SA), e poi mixato e masterizzato da Tonino Valletta presso il TVA Studio di Ascea Marina (SA). L’arrangiamento e l’esecuzione pianistica sono stati affidati a Bruno Manente.
«“Benvenuto” è il brano che più si discosta dalla matrice rock che influenza gran parte dell’album. Viaggia su una strada che è quella della canzone d’autore, strada che sento di voler continuare a percorrere con maggiore insistenza da qui in avanti».
Ad accompagnare il brano, un video enfatico, che miscela il live action allo stop-motion, con protagonisti lo stesso Luciano e la sua controparte animata, un piccolo pianista di 20 centimetri.
Il video di “Benvenuto” è idealizzato e realizzato dalla videomaker Denise Galdo, in collaborazione con lo Studio Francesco Galdo, la quale così racconta la genesi del videoclip:
«L’idea parte dalla necessità di voler illustrare, attraverso le immagini, quante emozioni possano essere generate da una canzone, che nel video è simbolicamente rappresentata dal piano. Quest’ultimo, infatti, si trasformerà in una serie di simbolici oggetti e personaggi, tra i quali addirittura un mappamondo in fiamme che rappresenta la possibilità, attraverso la musica, di sviluppare empatia per tutto ciò che ci circonda. Il nostro pianista rimarrà affascinato dalle trasformazioni del suo pianoforte, e riuscirà a scorgere la bellezza anche nelle piccole cose, alimentando la sete d’immaginazione che noi tutti, fin da bambini, abbiamo ma che tendiamo a mettere da parte, frastornati da un presente illusorio e soffocante. Ballare un lento appassionato con una vecchia scopa ed immaginare che sia la propria sposa è solo una delle cose che vedremo fare al piccolo pianista, maestro di sogni».
DICONO DI “L’ISOLA”
«Un talento compositivo incontestabile»
Più o meno Pop
«L’isola è l’approdo in una terra di solitudine conquistata che non fa più paura»
Rockit
«Luciano Tarullo grazie ad un appeal emozionale costruisce mondi all’interno di mondi e sa consegnare al pubblico una manciata di canzoni che si attraggono e si scompongono, si accendono e si spengono in un moto perpetuo che ci porta ad entrare nell’universo di un autore che ricerca nella semplicità un punto di contatto tra la terra e il cielo»
Indiepercui
«Brani molto curati, ottimi arrangiamenti, composizioni di spessore, voce convincente»
Radiocoop
«Un album pieno di spunti rock e riflessi generazionali»
Indygesto
«Ma non è stato per nulla inferiore l’interesse mostrato per la scrittura, sempre convincente e mai banale nel suo alternare temi esistenziali ad altri più pratici e attuali. “L’Isola” si apre con un pezzo d’impatto come “È così che va il mondo”, con riff decisi che ricordano il primo Vasco Rossi, e si chiude con “Quello che resta”, più fedele, invece, a schemi da ballad. Ma è nella fase centrale che l’album conosce il suo momento migliore: dalla titletrack, intima ed essenziale, che passa in rassegna alcuni dei temi che ricorrono nel disco, all’incalzare di “Tu da che parte stai”, che ammicca addirittura alla tradizione hard rock a stelle e strisce, passando per “Spalle al muro”, con un sound ancora esplosivo, ma nel quale svettano una batteria e un basso ispiratissimi»
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