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“Il Fetido Stagno” in scena a Teatrocittà

“Il Fetido Stagno” in scena a Teatrocittà – Roma

Sabato 2 febbraio alle ore 21:00 e in replica domenica alle ore 18:00 presso TeatroCittà Centro di formazione e ricerca Via Guido Figliolini 18 Roma, andrà in scena lo spettacolo “Il Fetido stagno”. Lo spettacolo prodotto dal Teatro della Girandola di Reggio Calabria con la drammaturgia e la regia di Santo Nicito, in scena l’attore Lorenzo Praticò, con le musiche di Biagio Laponte, il disegno luci di Simone Casile, il trucco di Nadia Mastroieni, la fotografia di Giovanna Catalano e Marco Costantino.

Grafica Divina

Dopo il suo debutto nel mese di giugno scorso, come world première al San Diego International Fringe Festival in California e al Bi-National Festival di Tijuana in Messico ricevendo ottime recensioni dalla critica d’oltre oceano e applaudito dal pubblico americano, e le repliche di Messina, Palermo, Reggio Calabria approda nella capitale.

Il fetido stagno è una testimonianza, di coloro che sopravvivevano e sopravvivono ai margini della dignità, dalla quale traspare ancora oggi la sofferenza silenziosa tatuata su volti e su corpi sporchi. Racconta storie, la storia di tutti quegli “esseri” internati nei manicomi. Uomini, donne, ragazzi, persone che in passato, venivano etichettati pazzi ma in realtà erano solo diversi per il loro modo di vedere e vivere la vita. Ammassati insieme in edifici fatiscenti, senza riscaldamento, senza le più elementari precauzioni igieniche, schizofrenici, omosessuali, paranoici, psicotici, anziani arteriosclerotici, soggetti affetti da cecità e da paralisi totale, ex militari sofferenti di esaurimento nervoso. Tutti insieme, seminudi, parecchi catatonici, alcuni legati a brande arrugginite, da cui colavano urine e feci, in un ambiente maleodorante, intossicato dalla mancanza di umanità, dal silenzio reso insopportabili dal vociare o urlare di tanti. “Il mio corpo era nelle vostre mani, ma la mia anima mi appartiene. Se mi ucciderete, finalmente sarò libero, non morirò invano”. Così recita un verso di una poesia scritta nei primi anni ottanta da Guido, uno dei tanti che ha respirato gli orrori dell’Ospedale Psichiatrico di Reggio Calabria.

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