«Le nostre preoccupazioni si sono avverate: un altro incidente incredibile tra imbarcazioni che dovrebbero esser dotate delle migliori tecnologie e in condizioni meteorologiche assolutamente ideali. In attesa dei risultati dell’indagine che deve accertare le responsabilità, ora possiamo solo sperare che le delicatissime procedure per disincastrare le due navi riescano ad evitare ulteriori dispersioni di combustibile in mare e, soprattutto, l’affondamento della portacontainer». Cosi Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia, commenta la collisione avvenuta domenica tra la nave ro-ro tunisina Ulysse e la portacontainer cipriota CLS Virginia a circa 28 km a nord ovest di Capo Corso, in pieno Santuario internazionale dei Cetacei.
Greenpeace segue con preoccupazione l’evoluzione della situazione. Il momento più delicato sarà quando si dovranno separare le due navi: a quel punto si potrebbero verificare importanti sversamenti di idrocarburi che sarà necessario arginare. Si tratta del combustibile navale (in particolare della portacontainer cipriota) che usualmente contiene elevati quantitativi di sostanze tossiche e cancerogene (Idrocarburi Policiclici Aromatici e altro). L’area di Capo Corso è nota in particolare per la presenza di grandi cetacei. Qui sono stati osservati sia la balenottera comune che il capodoglio.
Questo incidente, purtroppo, conferma la vulnerabilità dell’aerea, soggetta a intenso traffico navale e funestata da ripetuti incidenti. Purtroppo, gli allarmi lanciati da Greenpeace e da molti altri sono rimasti inascoltati e ben pochi passi avanti si sono fatti per garantire la sicurezza dei trasporti nel Santuario.
«Un incidente di questo tipo era prevedibile – aggiunge Giannì – e Greenpeace non è stata certo l’unica a lanciare l’allarme sull’affollamento delle rotte marittime in un’area teoricamente protetta come quella del Santuario dei Cetacei: il triangolo di mare racchiuso tra Nord della Sardegna, Corsica, Toscana e Liguria, fin quasi a Tolone, in Francia».
Greenpeace si batte da anni affinché il Santuario dei Cetacei sia protetto sul serio e non solo sulla carta. C’è voluto l’incidente della Concordia per avere le prime norme sui trasporti marittimi nel Santuario. Ma il cosiddetto decreto “anti-inchini” non è sufficiente a prevenire collisioni nel Santuario come ha peraltro dimostrato il caso della Mersa2. Meno di cinque mesi dopo il naufragio della Costa Concordia un cargo turco, la Mersa2, si arenava sugli scogli di Capo S. Andrea all’Isola d’Elba. Anche in quel caso le condizioni meteo erano ottimali.
«Il Santuario doveva essere l’occasione, purtroppo mancata, per garantire regole e innovazione anche per i trasporti marittimi – conclude Giannì – ci auguriamo che questo ennesimo incidente non si riveli l’ennesimo disastro ambientale prevedibile. Introdurre norme precise sulla protezione e sulla tutela del Santuario dei Cetacei è una scelta non più rinviabile, il decreto anti-inchini non basta. Un’altra Concordia è sempre possibile».