Giuseppe Pignalosa è sinonimo di qualità ed eccellenza nel campo di una tipologia di cibo che se anni fa era qualcosa da mangiarsi velocemente ormai, da tempo ha acquisito il suo giusto status grazie anche al riconoscimento di Patrimonio UNESCO: la pizza. Giovane, professionale, di una affabilità sorprendente ha l’unico difetto di farti venir voglia di assaggiare ogni sua pizza tanto è l’amore e la precisione con cui te le descrive.
Quando nasce l’attività di Giuseppe Pignalosa?
E’ nata quattro anni fa con la scissione da mio padre che dal 1970 faceva il pizzaiolo ed era ormai giunto all’età pensionabile. La sua attività si chiamava Gardenia (lui era molto legato a questo nome), ma quando l’ho presa io, oltre ad aver fatto dei lavori di restilyng del locale ho deciso di cambiargli nome ed è diventato Le Parùle che in napoletano significa L’orto. Questo perché, secondo me siamo una famiglia molto fortunata. Affermo questo dato che abitiamo alle falde del Vesuvio, quindi a nostra disposizione c’è un terreno argilloso dove si sviluppano prodotti di altissima qualità come il Piennolo, la Papacella, il Friariello o la Scarola. Tutto questo per me è importante, come la ricerca del prodotto di qualità o particolare. Perché oltre alle cosiddette pizze standard abbiamo un menù di pizze variabili con prodotti legati alla stagione. Per cui nel periodo della scarola faremo una pizza con essa, nel momento del friariello avremo la pizza con questo e così via.
Pizza napoletana? Pizza Romana? Toscana? O..?
Per me sono tutte da chiamarsi pizze.
Anche quelle che fanno all’estero?
(ride) Quelle no, ma ognuno di noi in Italia inizia con la tradizione. Se ad essa ci si unisce un pizzico di innovazione ben venga. Ognuno in Italia declina la pizza a modo suo, ma l’incipit è sempre la tradizione napoletana.
Parlavamo dell’importanza delle materie prima. Cosa contraddistingue e sta dando rilievo al tuo lavoro rispetto ad una pizza più standardizzata.
Ho un doppio lavoro. Prima il Pizzaiolo, poi il Ricercatore di prodotti di qualità. Ho la fortuna di essere un pizzaiolo dello Slow Food per cui posso interagire con una rete di piccoli produttori che prestano molta attenzione a ciò che producono. Se il disco di pasta ha una data dimensione e va fatto in una certa maniera con farine di altissima qualità non dimentichiamoci che cosa completa la pizza, cosa la rende un’eccellenza ovvero il topping, quindi faccio una ricerca andando quasi casa per casa per trovare la versione migliore di un dato prodotto. Il Piennolo come si faceva anni fa o il San Marzano come lo coltivavano i nostri nonni o bisnonni.
Ciò che quindi per te è fondamentale, ed è la tua forza, è l’unione di tradizione con innovazione.
Per me tutte sono pizze partendo dal centenario Michele a Gino Sorbillo, ai Fratelli Salvo, Francesco Martucci a Giuseppe Pignalosa però parlando appunto di prodotti di qualità ed eccellenza che vengono usati. Che poi si aggiunga innovazione va bene, perché oggi è ovunque, si ha una ricerca, uno studio in questo senso. Se tu vedi una Fiat 1 degli anni ’80 ed una Fiat 1 del 2000 è vero che la macchina è sempre quella ma sono cambiati gli optional. Quindi io nell’innovazione non vi trovo nulla di male se non si va ad esagerare.
Il tuo cavallo di battaglia?
Qui si torna sulla tradizione. Amo molto la Margherita perché, per me, è una pizza, come la Marinara che ti identifica. È tanto facile a dirla, pronunciarla, a pensare che tanto ci vuole del pomodoro, un po’ di mozzarella. Invece è molto difficile trovare il giusto equilibrio su quella pizza. Ho pizze che vanno forte come la GiaGiù che lo scorso anno ha vinto il premio di Pizza dell’Anno che viene fatta con burrata di bufala campana, zucchine San Pasquale, pomodorino giallo del Vesuvio, le alici di Cetara ed una grattugiata di limone come rinfrescante. Oppure la Scarulella fatta con scarola Schiana, fior di latte, anche qui acciughe di Cetara, olive e l’innovazione che qui consiste nell’aggiungere granella di nocciola. Un’altra pizza molto gradita nel mio locale è la Montanara. Anticamente la pizza fritta era quella che portava gioia nella nostra vita, nelle nostre case. Si diceva che la “mangi oggi e la paghi tra quattro giorni.” Questa tipologia di pizza ha sfamato generazioni. La Montanara prima di tutto ha una pasta, come tutte quella che faccio io, molto soffice, ricercata, particolare. Faccio una pasta ad alta idratazione, cioè una percentuale di acqua molto alta ed una lievitazione che supera le 24 ore. Poi ha una tripla cottura. Prima viene passata a 200°, poi a 180° e in finale a 150° che l’asciuga. È condita con San Marzano Dop, mozzarella di campana Bufala Dop dei Fratelli Barlotti di Pestum e una bella spolverata di Parmigiano Reggiano sopra.
Quindi la pizza che era qualcosa che si mangiava velocemente sta iniziando ad essere apprezzata come vera e propria ristorazione.
È cambiata l’ottica. Prima era lo street food della ristorazione, la piegavi in quattro, in otto, a portafoglio e te la mangiavi così. Ora no. Le persone che vengono a mangiare, che io non chiamo clienti, ma tifosi (come i cuochi blasonati dalla tv che hanno le loro tifoserie), perché oggi il cliente quando viene al tavolo vuole essere guidato nella degustazione, devi spiegare il perché di quell’abbinamento, quel tipo di topping sul disco di pasta invece di usarne un altro. E tutto ciò va fatto con il sorriso. Il sorriso lo devi avere fin dal mattino. Lo dico anche ai miei trenta dipendenti, se devono venire di malumore meglio che se ne stiano a casa, che facciano festa. Il cliente si deve sentire a casa, deve avere un prodotto di eccellenza da degustare pagando il giusto. Non possono esistere quelle pizze che vanno sui 30 euro. Il prezzo è sempre quello dello street food di una volta.
La tua giornata tipica.
Praticamente io sto un giorno avanti a voi. La mattina apro la pizzeria ed attendo che arrivino i miei collaboratori per iniziare. L’impasto lo facciamo la mattina per il giorno dopo. Poi inizia la preparazione del banco, di tutta la pizzeria. Arriva il fior di latte e lo prepariamo, lo tagliamo e controlliamo bene la qualità anche se devo dire che il caseificio dove ci serviamo (la Sorrentina) non ha mai sbagliato un colpo e fa un prodotto esclusivo per il mio locale. A mezzogiorno si incomincia il servizio, il pomeriggio io stacco per andare a vedere le varie materie prime, a fare le mie ricerche. In questo modo ad esempio ho conosciuto proprio a Ercolano un ragazzo davvero molto bravo che si chiama Angelo di Giacomo che ha l’Azienda Giolì che fa un piennolo eccezionale come lo desidero io per la mia pizza. Uso un San Marzano Dop di Italianavera che è una ragazza di Nocera che fa davvero un prodotto di alta eccellenza. La sera poi si torna al lavoro facendo quelle 500/600 pizze, per fortuna, non scordo mai di dirlo, al giorno.
Intervista di: Luca Ramacciotti