Nel libro compare spesso la parola “inadeguatezza” un male dei nostri tempi?
Forse l’inadeguatezza è un male di tutti i tempi, che si fa più sentire quando non ci sono problemi legati alla sopravvivenza materiale che ci toccano da vicino, come guerre, carestie, calamità naturali o malattie. Il nostro male più grande, in realtà, è quello di credere che dovremmo essere diversi da come siamo, anche se non sappiamo esattamente chi dovremmo diventare. Così ci allontaniamo da noi stessi, tradendo la nostra unicità, nel tentativo di piacere agli altri. Purtroppo però questa strategia non funziona. Ci snatura e, spesso attraverso la sofferenza, ci obbliga a un lungo e faticoso ritorno a noi stessi, alla ricerca della nostra interezza perduta. La fiaba del brutto anatroccolo spiega bene questo percorso di allontanamento da noi stessi e il successivo ritorno.
Quali sono gli insegnamenti principali che contengono?
Nel libro compaiono molte metafore, analogie, simboli, come riescono i più piccoli a farle proprie?
Metafore, simboli, così come le fiabe stesse, parlano direttamente all’inconscio. Per questo sono strumenti di crescita potentissimi, purché naturalmente possediamo la giusta chiave interpretativa. Le favole, proprio come le nostre esperienze, possono essere lette a diversi livelli. A un livello più esteriore, vedremo storie crudeli, fatte di perfide matrigne, padri assenti, orribili streghe, e vite sfortunate condite dall’ingiustizia, ma a un livello più profondo saremo in grado di cogliere il percorso di crescita che i singoli protagonisti fanno proprio grazie a queste avversità. Credo che tra i compiti di un bravo genitore ci sia anche quello di fornire ai propri bimbi la giusta chiave interpretativa delle fiabe così come della vita.
Come ha scelto le favole da inserire nella raccolta?
In un modo piuttosto singolare. Durante la notte mi veniva in mente una favola e la sua chiave interpretativa. Di giorno mi limitavo a scrivere quello che era emerso durante la notte. È stato il libro che ho scritto più velocemente. Nessuna ricerca, una sorta di dettatura interiore. Un’esperienza che non mi era mai capitata prima. Molto interessante.
Ce n’è una in particolare alla quale è più legata?
Sì, ho sempre amato molto Raperonzolo, questa fanciulla rapita dalla strega e rinchiusa in una torre senza porte. Da piccola ho vissuto in un luogo piuttosto isolato e credo che il tema della solitudine fisica e affettiva mi abbia toccato più di quanto avrei voluto. Raperonzolo contiene anche uno degli insegnamenti che mi sono più cari: tenere è perdere. Non possiamo trattenere nulla che non ci appartenga davvero, perché lo perderemo comunque. Per questo dobbiamo imparare ad amare senza voler trattenere: rimarrà con noi chi lo sceglie liberamente. E solo quello sarà amore vero.
Michela è un’amica oltre che una brava illustratrice e un’appassionata ricercatrice spirituale. Entrambe amiamo le favole. Un giorno, mentre stavamo chiacchierando al tavolino di un bar, un pensiero si è fatto spazio tra noi: se avessimo scelto alcune fiabe e avessimo unito le nostre forze per farne uno strumento di crescita interiore? Siamo rimaste istantaneamente affascinate da quest’idea.
E da quel momento abbiamo lavorato senza sosta, quasi come se questo libro avesse personalità propria e fosse impaziente di proporsi come un nuovo strumento di aiuto, una nuova via: la via delle fiabe.
Intervista di: Elena Torre