“Le piccole vite” è il tuo ultimo singolo: quali sono le tematiche centrali che hai sottolineato nella canzone?
In primis la canzone l’ho scritta per aiutarmi a superare il lutto della morte del mio vecchio gatto – Topo – cui ho praticato l’eutanasia per evitargli le atroci sofferenze causate da un male incurabile.
E’ un tema, quello della morte, che ho già sviscerato in canzoni come XII e L’Hermite. Questa volta però l’attenzione si sposta dalla dimensione antropocentrica a quella di tutte le specie animali.
E del tuo disco “Reloaded” cosa puoi dirci?
RELOADED rappresenta la pausa del cammino, quella in cui reinterpreti le esperienze vissute, le riordini e ti rendi finalmente conto che hanno costituito l’essenza del tuo peregrinare. Così le canzoni di RELOADED sono il punto su quello che dicevo, la riaffermazione di ciò che voglio dire e il preludio di quelle che dirò, facendo un mestiere che ha così tanto bisogno di quelle parole.
Un disco di brani rivisitati, reinterpretati che sono un punto di arrivo di 14 anni di musica e un trampolino per proseguire questo unico, lungo concept che è dire ciò che penso mentre vivo la mia esistenza.
In cosa hai cercato di apportare la tua personalità e ricerca musicale? Quali sono i generi in cui spazi per la tua produzione?
Credo che la personalità del cantautore sia naturalmente implicita nella sua produzione, specialmente se come nel mio caso si sceglie di “non mentire”, di non tentare banali travestimenti artistici. Quelle canzoni sono io, io sono in quelle canzoni e soprattutto sono del pubblico ogni qualvolta questi decide di condividerne i contenuti.
Non ho un genere. Le mie radici culturali sono ampie, e come tutti ho i miei fari cui traggo ispirazione: sopra a tutti Italo Calvino, Jorge Luis Borges e Fernando Pessoa. Certamente non mi impongo di seguire le mode o conformarmi a quello “che piace”.
Cosa significa lavorare nella musica oggi?
Ci sono diversi modi a differenti livelli. Esiste il livello commerciale del mainstream, che in questo particolare momento domina e la fa da padrone, creando e distruggendo meteore artistiche come un affamato generatore di profitti.
Poi c’è il modo del lavoro sotterraneo ed artigiano della musica creata come forma di arte ed esplorazione di sé, lavoro artigiano di resistenza umana, fuori dai riflettori.
Ci sono tante altre forme certamente, ma queste due mi pare stigmatizzino abbastanza bene la condizione sociale tutta: da un lato chi si danna per apparire cercando di assomigliare allo stereotipo, dall’altra chi sceglie di esistere per quello che è. Appartengo al secondo tipo.
Pensi che i social network e il web in generale siano importanti per farsi notare oggi?
Fondamentali. Ma fuorvianti. Costringono ad una velocità cui l’arte non può sottostare. L’arte non è un gadget che si consuma in 35 secondi, un’idea va accettata, accolta, poi approfondita e compresa quindi, al limite, condivisa e sostenuta, diffusa. I tempi dei social non lo permettono, per questo piacciono tanto a chi tira le fila del profitto.
Oltre alle due date annunciate, è prevista una tournée?
Sì, ed a breve verranno comunicate sui siti dediti a questa funzione. Ci sarà una attività teatrale ed una di live all’aperto.
Aspetto naturalmente tutte le persone curiose, interessate ad ascoltare anche quelle voci poco allineate al pensiero unico comune.
Articolo di: Lucrezia Monti