Pappi Corsicato è uno dei registi più visionari della cinematografia italiana. I suoi film sono onirici, pittorici e sempre con una vena di sottile umorismo di fondo. Di recente nelle sale cinematografiche è uscito il suo ultimo lavoro: Julian Schnabel: A Private Portrait.
Partiamo dagli inizi. New York, Almodóvar, Libera. Un esordio particolare per il panorama italiano.
Venendo da New York ho avuto a che fare poco con ciò che accadeva in Italia in quell’epoca, ma avevo una mia idea ben precisa di cinema. Ero da poco tornato in Italia quando appunto seppi che Almodóvar sarebbe venuto in Italia a prendere un premio. Mi presentai a lui offrendomi come volontario ed abbi l’esperienza di Légami! E da lì poi ho avuto la possibilità di fare il mio primo cortometraggio. Quegli anni a Napoli c’era un clima artistico particolare. Oltre a me c’erano Antonio Capuano e Mario Martone e tutti e tre eravamo un po’ fuori dagli schemi rispetto al panorama italiano. Nonostante tutti e tre si avesse background completamente differenti, Martone veniva dal teatro, Capuano era scenografo quindi mondi differenti, percorsi diversi che ci hanno portato ad esplorare la realtà in maniera personale.
Film, video, teatro, lirica. Tutti modi differenti di rappresentare o c’è una linea di collegamento?
Bene o male, con le differenti eccezioni per ogni linguaggio, di base c’è sempre un certo sguardo mio ironico. Non intendo uno sguardo ridanciano però. Non una cosa che ti fa ridere, ma vedere con un’altra visione una cosa che viene sempre presentata nello stesso modo. Mi piace osservarla sotto una luce che può essere tanto spiritosa, quanto inaspettata. E questo bene o male in tutti i miei lavori. Ad esempio nella regia de “La voce umana”, dove una persona che al telefono dice certe cose significa solo aver perso la ragione, cosa che può accadere per amore. Quindi io mi sono immaginato la protagonista legata con una camicia di forza, come se la telefonata in realtà fosse stata fatta prima di quel momento. Era un modo di rappresentare il tutto cercando di sdrammatizzare, di raccontare in maniera ironica qualcosa che in realtà è molto drammatico.
In un mondo come quello odierno dove siamo invasi dalle immagini a tutta velocità le persone stanno riscoprendo il piacere dei documentari di arte nei cinema.
La Nexo Digital ha avuto questa idea formidabile di portare l’arte nei cinema. Soprattutto in Italia dove le persone nemmeno vanno a vedere i film e dove l’arte è sempre relegata in ambienti molto contestualizzati, mai resi popolari. Quindi è una soddisfazione per chi le e fa e per chi ne usufruisce che magari ha modo di vedere luoghi museali o capolavori dell’arte che in vita sua non avrebbe mai la possibilità di ammirare dal vivo. Anche uno spettatore abituale che non è abituato a vedere le msotre ne può essere attratto anche perché questi lavori hanno una loro drammatizzazione, una storia che coinvolge non sono semplici illustrazioni di arte. Quindi sono interessanti anche da questo modo di porre la storia che viene raccontata ed hanno avuto la possibilità di far riscoprire al grande pubblico anche autori magari meno conosciuti a quel pubblico che, appunto, non segue il mondo dell’arte.
Il suo rapporto con l’arte pensando appunto anche al suo ultimo lavoro Julian Schnabel: A Private Portrait.
Tutto nasce dal mio periodo newyorkese. Lì l’arte ti arrivava da ovunque nemmeno dovevi andare a cercarla. Quindi già io sono una persona curiosa di natura, poi eri invogliato da musei, gallerie, tutti gli spazi dove si faceva arte ed era naturale seguire il panorama artistico della città. A Napoli in quegli anni c’era Lucio Amelio, ma io ero là in quel mondo che mi ha dato la possibilità anche di vedere cose che non mi sarei mai sognato od aspettato. Poi dopo i miei primi film è successo che artisti come Mimmo Paladino mi chiesero di fare riprese dei loro lavori. E’ stata tutta una concatenazione di richieste che mi han portato a fare lavori con personaggi quali Eduardo Cicelyn che fece questa bellissima serie di installazioni in piazza del Plebiscito. Con tanti poi si è creato anche uno stretto legame di amicizia come con lo stesso Paladino o con Richard Serra o Luigi Ontani o Rebecca Horn solo per citarne alcuni. Quindi il tutto è nato grazie a Paladino che mi cercò per quel lavoro iniziale. Anche con Schnabel è nato tutto così. Conosceva i miei film, aveva visto ed apprezzato il mio lavoro sugli artisti. E’ stato interessante il lavoro su di lui perché, ancora una volta, ho avuto la possibilità di esplorare e raccontare un altro tassello del mondo dell’arte contemporanea.
Ci fosse la possibilità di filmare, raccontare la vita di un artista del passato sceglierebbe qualcuno in particolare?
Sinceramente è difficile dirlo perché sono stati fatti tanti documentari davvero straordinari in questo senso. Non saprei scegliere un unico artista. Come si fa a dover estrarre un grande da tutti gli altri? Poi magari ci sono documentari fatti da persone che su quell’argomento sono preparati davvero moltissimo. È anche vero che ad esempio mi sono accadute cose inaspettate. Quando mi proposero di fare un video su Pompei all’inizio, di primo acchito, risposi entusiasta. Poi pensai che Pompei è uno dei luoghi più filmati al mondo, la storia è documentatissima dagli studiosi per cui abbi un momento di panico, ma ebbi invece un’idea che risultò vincente. Per cui ecco direi che, certo ci sarebbero artisti su cui vorrei poter fare dei film, ma non sparei al momento sceglierne uno. L’importante è che in questi lavori ci sia una visione, infatti il loro successo è che non hanno un approccio didattico. Viene raccontato bene il personaggio, ma c’è la costruzione della storia, una sceneggiatura e questo arriva allo spettatore attraverso un racconto che è motivo.
Intervista: di Luca Ramacciotti