Incontriamo Bruno Ballardini direttore della collana Sapere d’Oriente per Edizini Mediterranee
Lei è direttore per le Edizioni Mediterranee della collana Sapere d’Oriente. Quando nasce la sua passione per la tradizione orientale?
Il mio incontro con l’Oriente è avvenuto un’ormai remota cinquantina d’anni fa. Dopo l’ubriacatura adolescenziale per l’India durante il periodo hippy, verso la fine degli anni ’60, ho iniziato a studiare seriamente Taoismo, Buddhismo tibetano e infine lo Zen e le arti marziali, andando a cercare i migliori maestri e, nello stesso tempo, confrontandomi con i più importanti studiosi di tradizioni cinesi e giapponesi presenti in Italia e in Europa. Dagli anni 80 in poi, ho cominciato a recarmi regolarmente in Giappone sia per motivi di lavoro che per motivi di famiglia.
Quali criteri utlizza nella selezione dei titoli che vengono proposti?
Sapere d’Oriente è una collana a cui tengo particolarmente. È nata per far scoprire al pubblico i tesori nascosti nei testi sapienziali di tutte le culture orientali. Niente filosofie fini a sé stesse, magari per solleticare un pubblico modaiolo da New Age come spesso molti editori si adagiano a fare: ogni libro che scegliamo è un distillato di antica esperienza utilizzabile ancora oggi per affrontare la vita di tutti i giorni. All’inizio di quest’avventura, infatti, avevamo scoperto che molti testi di filosofia delle arti marziali consentono una doppia lettura, con strategie che si possono applicare non solo al combattimento ma anche per affrontare situazioni difficili nel campo del lavoro, delle relazioni interpersonali, ecc. Da qui, abbiamo allargato il raggio della ricerca identificando altri testi che avevano queste caratteristiche. E la risposta del pubblico ci ha ripagati del grande lavoro che abbiamo fatto e che continuiamo a fare.
Quale il titolo che le ha dato più da fare?
Senza dubbio l’Hagakure di Yamamoto Tsunetomo, un monumento della letteratura classica giapponese del periodo dei samurai, cui fece riferimento perfino lo scrittore Yukio Mishima nella sua speculazione. Questo lavoro è durato tre anni! E per un semplice motivo: nessuna delle edizioni esistenti è quella integrale, e spesso le varie versioni discordano sui brani selezionati. Le traduzioni migliori, poi, (quelle di Wilson, di Bennett, di Masahiro, ad esempio) sono migliori solo in alcune parti rispetto alle altre. Una delle più corrette, ahimè, era quella fatta da padre gesuita Luigi Soletta, in italiano. Dico “ahimè” perché Soletta ha volutamente equivocato numerosi termini buddhisti e shintoisti fornendone un’interpretazione cattolica che porta fuori strada. E così, alla fine, è stato un lavoro immenso di confronto e verifica passo per passo anche con le preziose indicazioni di amici letterati giapponesi, per cui posso dire con soddisfazione che questa è la miglior traduzione italiana oggi in libreria.
L’ultimo uscito è un testo dedicato al Bushido, cosa l’ha convinta a proporlo ai lettori italiani?
È un libro ormai storico, si tratta di una riedizione del famosissimo saggio di Inazo Nitobe. Mancava dagli scaffali italiani da un po’ di tempo e così abbiamo pensato di riproporlo proprio oggi che si avverte una certa crisi dei valori etici nella nostra società. Un libro che permette di comprendere meglio un sistema etico che è rimasto fondamentalmente intatto, almeno in termini culturali, tramandando fino ai nostri giorni delle virtù che sono ancora oggi paradigmi di riferimento nell’educazione giapponese.
In che modo il Bushido parla a noi occidentali?
Parla di rettitudine, coraggio, benevolenza, cortesia, sincerità, onore, lealtà e auto disciplina. Sono valori universali, validi anche per noi. Ma leggere i testi del Bushido – il saggio di Nitobe e l’Hagakure, testo per l’educazione dei samurai – è interessante soprattutto per capire come i giapponesi siano riusciti a mantenere vivi i loro valori mentre noi siamo riusciti a svuotare i nostri del loro significato rendendoli puramente “teorici”. Nel concreto, la nostra parola non ha più valore, le promesse non si mantengono più né verso gli altri né verso sé stessi, i giovani non hanno più una percezione chiara di cosa sia il Bene e cosa sia il Male. Siamo vittime di una distrazione costante, quando nell’educazione guerriera l’attenzione era una delle pratiche più importanti. E questi sono soltanto alcuni esempi.
Quanto la nostra cultura è distante da quella orientale? Perchè ne subiamo il fascino?
Perché fin dal primo contatto o confronto ci possiamo accorgere che l’Oriente possiede tutto quello che noi non abbiamo più o che ci stiamo perdendo per strada. Un tempo anche noi eravamo animisti, oppure politeisti, oppure materialisti, come gli orientali, con un grande culto della natura, un grande rispetto degli animali e di tutti gli esseri viventi. Perché non siamo più così? Per una malintesa idea religiosa assolutista che ci ha impedito di incontrare l’Altro, il diverso, e di considerare validi anche i suoi valori. Fortunatamente siamo ancora in tempo per correggere il nostro atteggiamento. Lo studio delle altre culture serve anche a questo, a riconoscere le “best practices” degli altri quando noi non abbiamo più tanto chiare le nostre. Rileggere testi orientali non serve quindi a “diventare orientali” ma a seguire il loro esempio, riesumando anche noi i nostri valori, facendoli tornare vivi, per diventare degli occidentali migliori.
Intervista di: Elena a Torre