Parole vere, sincere, spesso fuori dal coro, di un uomo che ha fatto della schiettezza il suo grido di battaglia: “Non so parlare sottovoce” di Aldo Agroppi (Cairo)
«Aldo rivisita, rovista, sfrucuglia, insulta, insinua, palleggia, stoppa e rilancia, dribbla, sbeffeggia, lucida, opacizza tutto un mondo, quello del calcio: ed essendo – come viene proclamato – il calcio metafora della vita, opera sul mondo tout court. Aldo è tutto da leggere, da suggere, da metabolizzare.»
Gian Paolo Ormezzano
Lo conoscono tutti Aldo Agroppi. Centrocampista, bandiera del Torino, poi allenatore, poi commentatore sportivo. In campo era un lottatore, uno che non mollava mai, fuori dal campo si è costruito la fama di non avere peli sulla lingua, di non avere paura di dire la sua. Anche contro i potenti. Ora torna con una sorta di autobiografia che entra a gamba tesa nel mondo del calcio moderno. Frammenti un po’ personali e un po’ (tanto) provocatori, dove Agroppi rievoca con nostalgia gli anni da giocatore e da allenatore, e ricorda campioni e uomini veri dello stampo di Lido Vieri, Scirea, Valcareggi, Edmondo Fabbri. In un accostamento a volte polemico con i divi del football di oggi. Ma non solo. Agroppi con la sua penna al vetriolo, senza censura e senza nascondere le fragilità che lo hanno costretto a lasciare anzitempo i campi da gioco, spazia su temi caldi della società odierna, dalla politica alla cultura al costume, regalandoci squarci empatici della sua vita di uomo e di professionista del pallone. E, soprattutto, non perde occasione per fare dichiarazioni d’amore alla sua squadra del cuore, il Toro, di cui ha indossato con orgoglio la maglia e pure la fascia di capitano.
Parole vere, sincere, spesso fuori dal coro, di un uomo che ha fatto della schiettezza il suo grido di battaglia.
L’AUTORE
Aldo Agroppi (Piombino, 14 aprile 1944) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano. Cresciuto nel vivaio del Piombino, viene acquistato dal Torino, che lo cede in prestito a diverse squadre: tornato ai granata, debutta in serie A il 15 ottobre 1967 in Torino-Sampdoria 4 a 2, lo stesso giorno in cui perde la vita Gigi Meroni. In breve diventa una delle bandiere del Toro. È tra i protagonisti della rinascita della squadra a cavallo degli anni 1960 e 1970, con cui conquista due Coppe Italia: sono i primi successi dei granata dai tempi del Grande Torino e della tragedia di Superga.