Ospite del nostro spazio interviste Andrea Pedrinelli giornalista di musica e teatro autore di molte monografie di autori importanti come Gaber, Jannacci, Baglioni, Ron. Torna in libreria con un nuovo accurato volume dedicato a Vasco Rossi. Lo abbiamo incontrato per saperne subito di più. Ecco cosa ci ha racontato.
Fresco di stampa Vasco Rossi, La storia dietro le canzoni per Giunti Editore un libro che abbraccia l’intera produzione muscicale del Blasco nazionale. Come ti sei orientato nella stesura?
Ho seguito lo stesso metodo che adopero ormai da anni, cioè ricostruire cronologicamente carriera, storia umana e opere di Vasco (gossip escluso) analizzando migliaia di documenti (interviste in primis) e ovviamente i dischi uno per uno e le canzoni una per una. L’obiettivo è quello di fornire una storicizzazione attenta e una lettura critica meditata di uno dei grandi che hanno accresciuto il patrimonio della nostra canzone, e dunque perciò serve a mio avviso l’approccio più lineare e al contempo scientifico che sia possibile. Anche se poi ovviamente il libro è leggibilissimo, raccontato, non è un saggio: ma l’approccio è rigoroso.
Oltre trenta album, difficile fare una classifica ma se tu dovessi sceglierne solo tre quali indicheresti e perchè?
Concordo con chi sostiene che Bollicine è uno dei migliori dischi rock di tutta la storia italiana, e ad esso personalmente affianco C’è chi dice no e Gli spari sopra, entrambi suonati magnificamente e ricchi di grandi canzoni; per certi versi però è Siamo solo noi che segna il linguaggio e la forza di Vasco in modo definitivo, e credo dunque che non possa venire trascurato in nessun modo.
Quanto della vita privata è entrata nella sua produzione musicale? Quali gli esempi più eclatanti?
Sempre confermando che non sono entrato in alcun modo nel privato-privato di Vasco, perché credo ci siano dei limiti di privacy e che certe vicende (gossip in primis) non giovino a capire un artista e dunque si possano tralasciare, senz’altro come accade a tutti la vita entra sempre nel lavoro, e dunque anche per Vasco la vita è entrata nelle canzoni. L’esempio più forte credo sia la morte di suo padre nel ’79, che gli diede la spinta per reagire puntando decisamente al rock (incide subito l’LP Colpa d’Alfredo); poi non dimenticherei Gli angeli, che è legata alla perdita di un amico-spalla artistica per lui importantissimo come Maurizio Lolli, e diventa una riflessione sulla vita da parte del Blasco, e poi –fra l’altro queste due le ha incise una dopo l’altra- Mi si escludeva, che è legata all’emarginazione subita da Vasco a più livelli durante l’infanzia e l’adolescenza. Direi che sono gli eventi più forti, e anche se la morte del padre non ha prodotto canzoni (insomma, Anima fragile è scritta per lui), ha prodotto… Vasco! Almeno, il Vasco che è diventato il numero uno del rock italiano.
C’è stato durante il lavoro di studio dietro questo libro che non sapevi e che ti ha particolarmente colpito?
Due cose, soprattutto, che sapevo ma non avevo mai avuto occasione di approfondire. Una è la qualità del primissimo Vasco, ancora legato al cantautorato ma capace di pezzi notevoli, veramente sorprendenti se si pensa che era un debuttante; la seconda è la cultura di Vasco. Capivo che si trattava di uno in gamba, ma non pensavo onestamente che ci fossero così tante riflessioni argute o ante litteram, così tante letture, così tanti spunti dietro anche le sue canzoni cosiddette “di stomaco”. Ma non si diventa grandi per caso, del resto…
Enzo Jannacci che tu ben conosci cosa ha a che fare con Vasco Rossi?
Ha ispirato la scrittura di Siamo solo noi, che in buona parte si rifà all’idea di Quelli che… scritta da Jannacci con Viola nel ’74. E Vasco l’ha sempre ricordato, che il linguaggio di Jannacci era unico, necessario, decisivo per dire le cose in modo moderno: disse esplicitamente che senza Enzo non sarebbe nata, Siamo solo noi. Anche Jannacci nel tempo ha avuto modo di stimare esplicitamente la purezza e il coraggio di Vasco, che peraltro invitò a duettare nella sua Tv degli anni Ottanta, citandolo addirittura in Lettera da lontano, suo testamento spirituale, quando diceva “Lettera a Vasco Rossi… mi piace sentirgli dire che è spento”. C’è sempre sintonia, fra i geni fuori dalle convenzioni: infatti Vasco adorava pure Fred Buscaglione, a lui deve l’impianto ironico di molti suoi brani. Ovviamente Vasco ha rimodellato a suo modo, gli spunti dei grandi: va a suo merito averli saputi cogliere, come accaduto anche con De André, con Paoli e persino con Gaber, evidente ispiratore con Lo shampoo del brano Valium: che di scalpore ne fece non poco.
Cosa è rimasto fuori da questo libro?
Nulla… tranne i dettagli della vita privata che nulla c’entravano con la musica e il gossip! E con esso, le voci non confermate sull’origine di certe canzoni.
Riuscirà musica ‘leggera’ ad entrare a pieno diritto nell’insegnamento scolastico?
Sarebbe importante almeno iniziare a percepirla come parte della nostra cultura, senza più snobismi e pregiudizi ma anche riconoscendone la peculiarità: perché non è poesia, è canzone. Però è da fine Ottocento, che le canzoni attraversano anche la vita di chi non le ascolta e che nelle canzoni si parla della realtà e dell’uomo. Non so se l’attuale approccio scolastico gioverebbe a una vera divulgazione della musica leggera come elemento culturale, però so che se vado nelle scuole come ho fatto e propongo Lauzi o Mia Martini, i ragazzi si accorgono che artisticamente valgono più dei rapper e dei talent e che contenutisticamente propongono riflessioni e a volte insegnamenti attuali, se non universali. Nel mio piccolo provo a sottolineare la faccenda nei libri, Vasco dopo Jannacci, Zero, Gaber, Baglioni; nel lavoro con gli artisti e il loro catalogo come fatto con Gaber stesso e i Pooh; e da giornalista: quest’estate è stata una sfida stravinta la rubrica Canzoni da leggere, in prima pagina su Avvenire per proporre ogni giorno una canzone che dicesse qualcosa, partendo dagli anni Trenta di Rodolfo De Angelis per arrivare alla Turci dell’ultimo Sanremo.
Cosa si impara dalle canzoni?
Tanto. C’è un patrimonio nascosto che è pazzesco. I fan dei Pooh sono stati i primi in Italia a sentirsi parlare dell’emarginazione degli omosessuali, di piazza Tien An Men a Pechino, della vita in carcere, dei bambini in guerra nel Kosovo. Ron ha proposto ai suoi fan il tema dei bambini di strada brasiliani, Orietta Berti delle donne “vedove bianche” che sposavano un uomo costretto a emigrare per vivere e vivevano tutta la vita sole, Nino Buonocore ha messo l’attenzione sui diamanti insanguinati del Sudafrica, Giorgio Faletti sulla mafia. E non cito apposta certi cantautori impegnati, per dimostrare che pure il pop può dire cose importanti, figurarsi la canzone d’autore… Senza scordare il cantar d’amore, dei sentimenti, dell’interiorità, dei valori, in brani notissimi come Io che amo solo te di Sergio Endrigo o poco noti come La gara di sogni di Edoardo De Angelis. La canzone, a conoscerla, rispettarla e sapervi scegliere, può arricchire la nostra vita come ogni forma d’arte.
Intervista di: Elena Torre