Pierluigi Gallo Ziffer è a Roma nel 1961, vive e lavora nella capitale, dove insegna Filosofia e Storia nella scuola secondaria superiore. Formatosi negli anni dell’adolescenza presso il Centro Età dell’Acquario di Roma, fondato e diretto da Cesare de Bartolomei, si è laureato in Etnomusicologia nel 1986 con Diego Carpitella e Pierluigi Petrobelli, compiendo studi musicologici e musicali con Agostino Ziino, Bonifacio Baroffio, Ermanno Pradella, Susan Hendricks e Roberto Laneri. Ha svolto viaggi di studio e di ricerca nell’area mediterranea, in Africa e in India, allo scopo di approfondire la conoscenza delle tradizioni musicali e religiose dei vari popoli, curando la stesura di voci etnomusicologiche per l’Enciclopedia Italiana G. Treccani, pubblicando saggi e articoli a carattere musicologico e intervenendo a convegni e trasmissioni radiofoniche specializzate. Ha composto musiche per installazioni sonore e performance multimediali, pubblicando nel 2001 un doppio CD di musiche originali dal titolo Lo Specchio del Tempo (Genesi, 1-9). In seguito all’incontro col padre Mariano Ballester SJ, nel 1990 ha fondato a Roma il Centro Ricerche Musica dal Profondo, allo scopo di approfondire le tematiche relative al rapporto fra musica e spiritualità nelle tradizioni religiose della Terra e nella ricerca artistica contemporanea. Dal 2015 collabora con l’Associazione Culturale Simmetria (fondata e diretta da Claudio Lanzi ed erede dell’antica Pontificia Accademia Tiberina) alla creazione di un Centro Studi Tradizionali nella capitale, collegato con l’omonima Fondazione in via di realizzazione.
Da poco uscito per le Edizioni Mediterranee il suo nuovo libro dal titolo Il dono del suono un bellissimo viaggio nella storia su cui abbiamo voluto sapere di più.
Il suono e la musica da tempo immemore accompagnano l’uomo: quando inizia la sua attività di ricerca e da dove parte, quale la scintilla che ha acceso questa passione?
Quando da piccolo ascoltavo mia madre suonare Chopin, sul suo Schimmel in salotto prima di dormire, non pensavo ovviamente al carattere estetico della musica in sé, ma alla componente affettiva – e direi quasi magica – che quei suoni suscitavano in me, quasi venissero da un altro pianeta o da altre dimensioni: era come se tutto l’amore materno si riversasse in quei suoni, la cui misteriosa natura ancestrale mi avvolgeva e mi cullava ogni notte prima di prendere sonno.
Poi piano piano, crescendo, ho mantenuto col suono un rapporto profondo, direi quasi mistico: prima attraverso la conoscenza di Wagner (la Marcia funebre di Sigfrido e il Preludio del Lohengrin, innanzitutto), poi con l’incontro con la musica pop (psichedelia e progressive, fra gli altri) e infine con lo studio della nuova musica americana (minimalismo e avanguardia) e delle musiche antiche, etniche ed extraeuropee, ho approfondito il rapporto con la dimensione interiore del suono e della creazione musicale.
Non “l’arte per l’arte”, quindi, ma “il suono come esperienza animica”, come è evidenziato del resto nelle pagine di questo mio libro (Il Dono del Suono, Edizioni Arkeios, Roma 2017).
Ho viaggiato un po’ in giro – e soprattutto in me stesso -, immergendomi per quanto possibile in quella condizione estatica e visionaria, e nel contempo mistica e spirituale, che considera il suono come veicolo di stati di coscienza profondi: e l’ho fatto cercando, presso le varie tradizioni musicali e cerimoniali locali che mi trovavo a incontrare, sempre qualcosa di mistico e di trascendente, senza mai fermarmi all’aspetto estetico e puramente formale del fatto musicale ma volendo oltrepassarlo ogni volta, come una sorta di “entronauta sonoro” in pellegrinaggio costante.
Tutto ciò è evidenziato, peraltro, da quel che mi disse a suo tempo uno dei miei insegnanti di composizione, che non senza un certo stupore garbatamente affermava: “Tu non sei un musicista, non vai ai concerti per ascoltare bella musica né ti interessi alle forme compositive o all’estetica musicale in quanto tali: sei una specie di alchimista del suono, che utilizza la musica per andare in trance e avere esperienze estatiche. Sei l’esatto contrario di ciò che ci si aspetta da un musicista colto europeo, classico o d’avanguardia che sia: non ho ancora capito se sei un caso patologico oppure se stai sperimentando un nuovo approccio alla musica, di sicuro io non riesco a capirti”.
Mai definizione migliore avrebbe potuto illustrare, io penso, il mio vero approccio alla musica: perché in questo giudizio, onesto e impietoso al tempo stesso, è racchiusa tutta l’essenza della mia ricerca e della mia storia personale ed artistica.
Quando infatti un giorno lascerò questa terra non porterò con me partiture (anche se indispensabili, com’è del tutto evidente a chiunque), ma solo quelle esperienze interiori che il suono (e la vita stessa con lui) avrà provocato in me stesso, nient’altro: se quindi prima o poi tutti noi lasceremo il pianeta, perché non cominciare a distaccarci fin d’ora dai nostri schemi mentali? Il “dono del suono” rappresenta infatti anche questo: lasciarsi portare da esso oltre i condizionamenti sociali, e rimanere in ascolto.
Siamo consapevoli che il suono è un dono?
Il suono si manifesta come dono, a parer mio, nel momento in cui siamo capaci di riceverlo, nel momento in cui ci mettiamo in ascolto in maniera ricettiva, per l’appunto: se invece sappiamo già perfettamente in partenza che cosa vogliamo da lui, cosa vogliamo farne e dove vogliamo arrivare (secondo il famoso approccio all’arte e alla vita dell’ homo faber, tipicamente euroatlantico), allora il suono non è più un dono ma diventa un semplice evento, che come tale rientra nelle categorie acustiche, estetiche e formali che già conosciamo, o se ne discosta di poco.
Ma se invece restiamo in ascolto della “parola profonda”, che emerge dal silenzio interiore e da lì si rende cosciente attraverso il veicolo acustico, ecco che questa esperienza diventa un’esperienza gratuita, diventa un dono per noi e per il mondo: come recita infatti la Mandukya Upanishad, “In verità due sono i Brahman da meditare: Suono e Non-Suono. Ora, il Non-Suono si manifesta attraverso il Suono: questa è immortalità, unione completa e pace”.
Quali sono le difficoltà di ritrovare e riprodurre suoni e musiche antiche?
Il nostro rapporto con le musiche antiche, nonché con la Tradizione in se stessa, è diventato ormai di tipo quasi esclusivamente formale e di superficie, è solo un fatto culturale, insomma: tuttavia meno male che sia almeno così, altrimenti avremmo perso del tutto il contatto con le fonti, con i rituali e le cerimonie del passato, seppure su un piano prevalentemente intellettuale e formale.
Ma per raggiungere un’immersione reale, effettiva e diretta con le ritualità del passato non basta un rapporto di superficie, bisogna ricollegarsi a quella specifica esperienza interiore da cui ciascuna musica, danza o liturgia tradizionale ha avuto origine ed è scaturita: solo così potrà avvenire nuovamente il contatto, altrimenti ci fermeremo sempre a un discorso di imitazione, formale o culturale che sia, che certo è indispensabile ma non già sufficiente.
In che modo la musica antica ancora ci raggiunge? Nei rituali e nelle cerimonie del passato era una parte fondamentale, sacra: e oggi?
La nostra ricerca sulle musiche tradizionali è a mio parere decisiva non solo per conoscerle e ascoltarle in quanto tali, ma anche e soprattutto perché attraverso di esse possiamo entrare in contatto con una dimensione esistenziale, metafisica ed esperienziale, che è radicalmente “altra” rispetto alle categorie logiche, culturali ed artistiche del mondo moderno: si tratta infatti degli antichi Misteri, di cui non abbiamo ormai più che un lontano ricordo.
Ma nel far questo non dobbiamo fermarci a un interesse meramente antiquario o nostalgico verso la musica e le tradizioni antiche ed extraeuropee, perché in tal modo la nostra alterità nei confronti del mondo moderno si porrebbe su una posizione esclusivamente conservatrice e reazionaria, che, pur non essendo illegittima sul piano teoretico e filosofico, semplicemente non è la mia.
La mia visione del mondo non guarda infatti al passato ma è rivolta al futuro, e il “ritorno alle origini” che desidero e cerco non è da intendersi come un mero rirpristino della Tradizione dei Padri (che pure amo e rispetto, ovviamente), ma come la riscoperta e la rinascita di un “orientamento tradizionale” futuro, del tutto originale e autonomo, che getti le basi per la comparsa di una “musica sacra e rituale dell’avvenire”.
La differenza è notevole, direi pure essenziale.
Quindi secondo lei siamo veramente all’alba di una nuova era?
Ecco, questa è una questione importante da chiarire con precisione: se infatti per “nuova era” ci riferiamo alla cosiddetta new age contemporanea, che nella sostanza si pone soltanto come un proseguimento dell’età attuale, come un mero sviluppo delle sue componenti edoniste, individualiste, materialiste e sostanzialmente “arimaniche” (come direbbe Rudolf Steiner), secondo me non ci siamo.
Una possibile nuova era (che io definisco invece come una “nuova età dello Spirito”) dovrebbe viceversa rappresentare una cesura netta, profonda e radicale con la Modernità e i suoi valori, che pur senza tornare al passato in senso passatista e tradizionalista – come ho già detto poc’anzi – sappia porsi come un polo futuro, a carattere profondamente rivoluzionario e trasformativo rispetto ai valori del nostro tempo: se infatti pensiamo al significato strettamente astronomico della parola “rivoluzione”, ci rendiamo conto come essa indichi proprio un “ritorno all’origine”, dopo aver percorso interamente il tragitto dell’eclittica.
Non si tratta quindi di un mero sovvertimento delle condizioni date o delle circostanze contingenti (pur se con quella profonda valenza escatologica e messianica che caratterizzava, ad esempio, l’utopia marxista originaria), né di un semplice ritorno al passato in senso tradizionalista tout court (pur se con quell’alto valore metafisico e filosofico che costituisce invece l’essenza del concetto hindu di Kali-Yuga): un terzo polo è quantomai necessario, per la coscienza planetaria futura, che dialetticamente trascenda entrambe le età e si proietti in avanti, pur se guardandosi indietro.
Che cosa tutto questo significhi lo scopriremo pian piano, io nel frattempo cerco di anticiparne i contorni attraverso questa sorta di viaggio interiore nel “Dono del Suono e della Visione” (David Bowie, Velvet Goldmine).
Intervista di: Lucrezia Monti