Uniti contro la plastica in mare
MedSealitter: dieci partner internazionali
per combattere la diffusione dei rifiuti plastici in mare e tutelare la biodiversità
Parchi, associazioni, università e istituti di ricerca collaboreranno per tre anni per monitorare
al meglio il Mediterraneo, indicare le criticità e i più efficaci sistemi di contrasto
L’obiettivo è chiaro e condiviso: combattere quella che sta diventando una vera emergenza globale. Le materie plastiche sono il principale tipo di rifiuto marino sulle spiagge come in mare aperto e i microscopici pezzi di plastica derivanti dalla loro degradazione in acqua rappresentano non solo un problema ambientale ma anche sanitario, perché possono agire come vettore per il trasferimento di sostanze chimiche tossiche nella catena alimentare.
Con MedSealitter – progetto cofinanziato dal Programma europeo Interreg Med – Ispra, Università di Barcellona, Università di Valencia, MEDASSET e Hellenic Centre for Marine Research (Grecia), Ecole Pratique des Haute Etudes e EcoOcean (Francia), Area marina protetta di Villasimius, Legambiente e Parco Nazionale delle 5 Terre, che è capofila del progetto, stanno collaborando per ottimizzare gli sforzi compiuti singolarmente dai diversi Stati con la messa a punto di strumenti di valutazione condivisi, protocolli comuni sui rifiuti in acqua e sui rischi per gli ecosistemi e la biodiversità.
Ogni partner sta quindi mettendo a punto la proposta di protocollo per il settore o la “specie” di propria competenza: l’Università di Barcellona sta testando diversi tipi di drone con diverse tecnologie e telecamere, l’Università di Valencia sta facendo test per verificare l’attrezzatura e la modalità più adeguata per il monitoraggio da aereo; Legambiente e ISPRA stanno sperimentando strumentazioni, postazioni e capacità di osservazione dagli osservatori posti su Goletta verde e sui traghetti, mentre Hellenic Centre for Marine Research, Ecole Pratique des Haute Etudes e EcoOcean stanno verificando modalità alternative per estrarre e studiare le microplastiche ingerite dai pesci.
Sulla base dei risultati dello stato dell’arte e della messa a punto effettuata in questi ultimi mesi, verranno poi stilate le linee guida che verranno sperimentate a partire dal 2018.
“Il mare Mediterraneo – ha dichiarato la presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni – è uno dei principali hot spot mondiali per biodiversità, ma è anche uno dei mari più inquinati del mondo e nonostante molte organizzazioni del Mediterraneo stiano lavorando su questo tema, non c’è ad oggi alcun protocollo comunemente accettato, che permetta di valutare l’inquinamento da rifiuti marini. Eppure parliamo di un fenomeno di rilevanza globale, che ha effetti devastanti non solo sulla biodiversità, ma anche sulla qualità delle acque e degli interi sistemi territoriali”.
Nell’ambito del progetto, l’Area Marina Protetta delle Cinque Terre sta testando la caratterizzazione del litter recuperato questa estate catalogando tipologia, dimensioni e possibile provenienza.
“Inoltre – ha dichiarato il direttore del Parco Nazionale delle Cinque Terre Patrizio Scarpellini – abbiamo ideato una speciale cartellonistica da apporre nei borghi per informare correttamente turisti e residenti rispetto ai tempi di degradazione dei rifiuti abbandonati sul territorio e nel mare. Proprio le Aree Marine Protette, infatti, si configurano quali prime destinatarie dei protocolli del progetto visto il fondamentale ruolo svolto nella tutela dell’intero sistema territoriale”.
Il marine litter non è semplicemente un problema ambientale ma altresì economico, con importanti ricadute per settori strategici quali pesca e turismo, due delle peculiarità dei territori che, in Italia così come all’estero, sono sul mare e incidono sul ruolo dei parchi.
Per quanto riguarda la biodiversità i rifiuti marini hanno impatti su tartarughe, mammiferi e uccelli marini, filtratori, invertebrati o pesci. Gli impatti a livello di popolazione sono ancora in fase di studio ma è stato calcolato un incremento del 40% del numero di specie, da 247 a 663, che hanno subito danni a causa dei rifiuti marini dal 1997 al 2012. I rifiuti in plastica in particolare sono responsabili dell’88% degli eventi registrati e circa il 15% delle specie vittime di aggrovigliamento e ingerimento di rifiuti marini è sulla Lista Rossa delle specie minacciate dell’IUCN, l’unione mondiale per la conservazione della natura. L’aggrovigliamento (o intrappolamento) può portare a ferite, mutilazioni e strangolamento, compromettere il nuoto, la fuga dai predatori, la capacità di nutrirsi o causare l’annegamento, mentre l’ingestione può essere accidentale, come per gli organismi filtratori, o volontaria in quanto alcuni rifiuti, come le buste o i piccoli granuli di plastica, possono essere scambiati per meduse o uova di pesce. Le conseguenze sono malnutrizione, morte per soffocamento, ostruzione del tratto intestinale o ancora l’esposizione alle sostanze tossiche contenute o adsorbite dalla plastica (ftalati, PCB, etc…) che comportano anche disturbi al sistema endocrino. Le particelle più piccole possono poi entrare nella catena alimentare.
Il progetto MedSeaLitter riguarda proprio la natura del problema: le plastiche e i rifiuti nel Mar Mediterraneo sono una piaga internazionale che impone dunque l’adozione di un ottica sistemica che superi il principio limitativo dei confini, delle competenze e delle responsabilità dei singoli Paesi.
Oltre alla realizzazione di protocolli per il monitoraggio sistematico dei rifiuti marini e del loro potenziale effetto sulla biodiversità del Mediterraneo, MedSeaLitter mira alla creazione di un network delle Aree marine protette (Amp), per la realizzazione di interventi integrati e condivisi che forniscano soluzioni efficaci per contenere l’impatto dei rifiuti marini sulla biodiversità.
Secondo l’ultimo monitoraggio effettuato da Legambiente nel 2017 con il rilevamento dei rifiuti sulle spiagge, in Italia insistono in media 670 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia, di cui il 84% è di plastica. Nel mare invece, le indagini effettuate da Goletta Verde attorno alle coste hanno rilevato una media di 58 rifiuti ogni chilometro quadrato e di questi il 96% è costituito da plastiche, soprattutto da buste (16,2%) e materiale utilizzato nelle attività di pesca, come lenze, reti e cassette di polistirolo e bottiglie.
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