Marco Bobbio, è segretario generale di Slow Medicine. È stato ricercatore negli Stati Uniti, cardiologo responsabile dei trapianti di cuore a Torino e infine primario di Cardiologia all’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo. Ha pubblicato per Bollati Boringhieri (1993) Leggenda e realtà del colesterolo. Le labili certezze della medicina, per Einaudi (2004) Giuro di esercitare la medicine in libertà e indipendenza. Medici e industria (2010), Il malato immaginato. I rischi di una medicina senza limiti (tradotto in portoghese). Con Stefano Cagliano per Donzelli (2005) Rischiare di guarire. Farmaci, sperimentazioni, diritti del malato e con Luigi Pagliaro e Agostino Colli per Raffaello Cortina Editore (2011) La diagnosi in medicina. Strumenti, scenari e incertezze nell’incontro tra paziente e medico.
Troppa medicina è il titolo azzeccatissimo del tuo ultimo saggio, da dove nasce e cosa significa per te troppa medicina?
Al giorno d’oggi la medicina dispone di un gran numero di trattamenti e di test diagnostici, per cui sta aumentando il rischio di sottoporre le persone a un eccesso di cure e di test. Troppe medicine provocano imprevedibili effetti indesiderati e troppi esami, invece di rassicurare, creano preoccupazioni perché possono segnalare qualche cosa di ‘non normale’, che non significa ‘patologico’, ma che richiede ulteriori approfondimenti. Non solo si sprecano preziose risorse pubbliche che potrebbero essere usate per migliorare le cure odontoiatriche, le cure domiciliari e gli hospice e si inducono le persone a pagare ticket e a perdere tempo per prenotare esami, ritirare referti, ma soprattutto troppo può far stare peggio. Nel libro spiego, come dice il sottotitolo, che ‘un uso eccesivo della medicina può nuocere alla salute’ e aggiorno sempre il sito (www.troppamedicina.it) con i risultati di ricerche che dimostrano i pericoli di un uso sconsiderato di test e farmaci.
Nella tua lunga esperienza di medico cosa la medicina ha guadagnato e cosa perso?
La crescita dell’industria di farmaci, protesi e dispositivi medici e la diffusione della tecnologia ha permesso di curare malattie che fino a una decina di anni fa provocavano la morte, di migliorare la qualità della vita sostituendo organi malati con protesi e con trapianti, di vivere in buona salute. Il rovescio della medaglia è che nessuno più si sente sano, perché ostaggio dell’idea che test e terapie siano sempre necessari: si va dal medico per ogni nonnulla, non si sa aspettare che il malanno guarisca spontaneamente, né si sa più utilizzare i rimedi domestici, si pretendono esami per sapere come si sta, si corre in pronto soccorso per qualunque disturbo. In questo modo si allungano le lista d’attesa, si aspettano ore in barella, si spendono soldi in ticket, in medicine e in visite private, in molti casi senza alcun vantaggio. Paradossalmente, man mano che sono migliorate le cure, si è ridotta la fiducia nella medicina e nei medici e si è deteriorato il rapporto medico/paziente che è invece il punto di partenza per un’efficace terapia.
Secondo te è ancora possibile fare un passo indietro?
Certamente che si può fare un passo indietro, dal momento che ormai molti medici, infermieri, pazienti e cittadini si rendono conto che questa china può far del male. Proprio per da voce a queste esigenze, cinque anni fa è stato fondato il movimento Slow medicine (www.slowmedicine.it) che si batte per una medicina sobria, rispettosa e giusta. L’associazione si è diffusa rapidamente a livello nazionale e movimenti analoghi stanno sorgendo all’estero. A novembre si svolgerà a Torino il IV Congresso Nazionale, che quest’anno verrà articolato su tre argomenti (Fare/non fare nelle cure di fine vita – Storie di formazione: come si impara a essere professionisti slow? – Coltivare la salute) https://www.slowmedicine.it/index.php/it/iv-congresso-slow-medicine/104-20171111-programma
Cosa vorresti per la medicina del domani?
Che si riuscisse a ricuperare il rapporto umano e di fiducia tra il professionista e il cittadino, che le cure non venissero prescritte in modo identico a tutti i pazienti affetti da una certa patologia, ma tenendo conto delle preferenze e dei valori della singola persona malata, che non fosse l’industria a creare nei cittadini la paura di ammalarsi per vendere i propri prodotti, ma fossero le esigenze dei pazienti a determinare quali trattamenti è necessario sviluppare, che non si sprecassero risorse sanitarie per esami e cure inutili, che non venissero spesi tanti soldi in cibi-che-fanno-bene e in integratori, ma che tutti quanti imparassimo a mangiare, come sostiene Slow Food, cibi buoni, puliti e giusti.
Intervista di: Cinzia Ciarmatori