Incontriamo Barbara Garlaschelli, scrittrice, il suo libro “Non volevo morire vergine” in pochissimo tempo è andato in ristampa. Noi l’abbiamo voluta incontrare per conoscerla meglio ed ecco cosa ci ha raccontato.
Un viaggio nel passato prevede un bagaglio cosa hai portato e con cosa sei tornata?
Ho portato con me l’esperienza di una donna di cinquant’anni che ha guardato con tenerezza e orgoglio quella ragazzina prima e giovene donna poi alle prese con desideri e sogni che le sembravano irrealizzibali e che invece sono divenuti realtà. E sono tornata con l’orgoglio di essere stata quella ragazzina.
Perché in Italia ci sono ancora certi tabù? Cosa non si vuole vedere?
L’Italia è un paese cattolico: la nostra cultura, l’educazione, hanno radici lì, in un’istituzione dove il sesso è considerato ancora cosa “indicibile”, un “peccato”. C’è poca laicità nell’affrontare temi quali sesso, disabilità e molti altri altrettanto fondamentali. Questo complica tutto e costringe al silenzio, a una vita appartata e incompleta centinaia di migliaia di persone. Mentre bisognerebbe iniziare dalla scuola a parlare di sessualità, in tutte le sue declinazioni. E non solo di quello, ma di relazioni umane, di crescita interiore, di apertura a ciò che consideriamo “diverso” e dicui spessio si ha paura proprio perché non lo c’è conoscenza.
È cambiato il tuo rapporto con la scrittura?
Sì, il rapporto con la scrittura, per me, è un continuo cambiamento, per fortuna. Così come cambiamo noi, come cambia la vita. La cosa più terribile che potrebbe capitare a chi scrivere è “l’immobilità”, il ritrovarsi a scrivere sempre lo stesso romanzo, nello stesso modo. Spero, dovesse mai capitare, di capirlo in tempo e smettere. Il mondo non ha bisogno di scrittori che si compiacciono di vedere lo stesso angolo di mondo, senza mai cambiare, evolvere.
Qual è la cosa più bella che ti è successa dopo l’uscita del libro?
Ricevere ogni giorno messaggi da lettroci e lettori, anche non disabili, che mi scrivono non solo di aver amato il libro, ma di aver capito qualcosa di più di se stessi. E’ bellissimo questo: un libro che fa conoscere di più non solo un’altra persona, un’altra vita, ma la propria.
Amor omnia vincit?
Qualche volta sì. Troppo poco spesso, purtroppo.
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Intervista di: Elena Torre