PADRE MOSÈ
NEL VIAGGIO DELLA DISPERAZIONE IL SUO NUMERO DI TELEFONO È L’ULTIMA SPERANZA
di MUSSIE ZERAI con GIUSEPPE CARRISI
GIUNTI EDITORE
CANDIDATO AL PREMIO NOBEL PER LA PACE NEL 2015
SELEZIONATO TRA LE 100 PERSONE PIU INFLUENTI DEL MONDO DA “THE TIMES” NEL 2016,
A SETTEMBRE 2016 E’ STATO INVITATO A PRESENTARE LA SUA PROPOSTA NEL SUMMIT DELL’ONU SULL’EMERGENZA MIGRANTI.
Scritto a penna sulle magliette, inciso nell’interno delle stive, sussurrato di bocca in bocca, spedito via sms da un continente all’altro, quello di Don Mussie Zerai, Padre Mosè per i suoi protetti, non è un numero di cellulare qualunque. Si aggrappano a questa manciata di cifre tutti coloro che affrontano il Viaggio: i molti che salgono sulle cosiddette carrette del mare, i giovani prigionieri dei predoni, le famiglie che non hanno più notizie dei loro cari, i richiedenti asilo relegati nei lager libici, i migranti dimenticati nelle carceri egiziane o nei campi profughi del Sudan, i rifugiati abbandonati a se stessi in Italia. Spesso è Don Zerai che, dopo aver ricevuto una drammatica telefonata, allerta la Marina militare perché soccorra i barconi in difficoltà. Ed è sempre lui che richiama costantemente l’attenzione delle istituzioni sul dramma delle stragi del mare. Con voce rotta dalla commozione Padre Mosè racconta della sua missione, che lo vede in prima linea ogni giorno, ogni ora, minuto per minuto, e della storia del suo arrivo in Italia, da profugo minorenne non accompagnato, all’inizio degli anni Novanta. Le sue parole svelano la tragedia dell’immigrazione forzata, il dramma dei barconi al largo delle coste europee, le difficoltà di accordarsi con le istituzioni, il silenzio della politica e l’omertà dei paesi dell’Africa settentrionale e subsahariana. E accusano senza remore i regimi dittatoriali collusi nel traffico di esseri umani.
Don Mussie Zerai nato in Eritrea, ad Asmara, è espatriato fortunosamente in Italia nel 1992, appena diciassettenne, come rifugiato politico, ai tempi in cui nel suo Paese c’era il regime di Aferwerki. Orfano di madre (che ha perso a 5 anni) e con 7 fratelli, decise di scappare nel nostro Paese quando suo padre venne arrestato dalla polizia segreta eritrea.Ancora minorenne, arrivò a Roma dove cominciò a frequentare i sacerdoti sacramentini, in particolare un padre scozzese, che in un piccolo ufficio sotto la Stazione Termini assisteva i minori stranieri non accompagnati che arrivavano in Italia. Iniziò ad aiutarlo, come mediatore linguistico, e conobbe le difficoltà di inserimento dei suoi connazionali e di tanti altri disperati. Nel 1995, quando i numeri dell’immigrazione iniziarono a crescere, divenne un punto di riferimento per chi si trovava in difficoltà sul territorio italiano. Da allora non si è mai fermato, aumentando l’impegno, in particolare dal 2002 quando iniziarono ad arrivare i barconi dalla Libia. Nel 2006 Don Mussie Zerai ha fondato l’agenzia non profit “Habeshia”, dal nome della zona tra Eritrea ed Etiopia da cui provengono i profughi. Diventare attivista per i diritti umani è stato lo sbocco naturale della sua vita, grazie anche agli studi compiuti: Filosofia a Piacenza, dal 2000 al 2003, Teologia nei cinque anni successivi e poi Morale sociale presso l’Università Pontifica Urbaniana fino al 2010, quando è stato ordinato sacerdote Già da piccolo manifestava l’intenzione di diventare prete. A 14 anni chiese al vescovo di Asmara di poter entrare in Seminario, ma ci voleva l’autorizzazione di mio padre. Il quale era via, ma quando lo seppe rifiutò in modo categorico. Quando arrivò in Italia, la vocazione tornò a galla in modo decisivo una domenica del 1997: quel giorno in televisione vide il processo di beatificazione di Giovanni Battista Scalabrini, precursore degli Scalabriniani. Oggi è uno di loro.
Don Zerai è stato il primo a segnalare la tratta degli schiavi nel Sinai e, grazie alla sua incessante attività negli ultimi due decenni ha contribuito a salvare migliaia di migranti passati dal Mar Mediterraneo. Il suo numero di telefono, infatti, è l’ultima speranza per molti che salgono sulle cosiddette “carrette del mare”: quando i barconi sono in avaria o stanno per affondare, spesso chiamano il sacerdote per chiedere il soccorso della Marina militare. I suoi recapiti sono considerati un’ancora di salvezza anche per i giovani prigionieri dei predoni, per le famiglie che non hanno più notizie dei loro cari, per i richiedenti asilo relegati nei lager libici, per i migranti dimenticati nelle carceri egiziane o nei campi profughi del Sudan, per i rifugiati abbandonati a se stessi in Italia. Dal 2011 don Zerai vive tra Roma e la Svizzera, dove segue 14 comunità eritree sparse in vari Cantoni.
Giuseppe Carrisi, giornalista Rai, scrittore e documentarista, ha pubblicato: Kalami va alla guerra (Ancora, 2006), Gioventù camorrista e Tutto quello che dovresti sapere sull’Africa e che nessuno ti ha mai raccontato (Newton Compton), Premio Fregene 2013.
Pag. 220
Euro 16,00
EAN 9788809837188
Fonte: Fiammetta Biancatelli