Emilia, terra di rocker; ed ecco che la terra di Vasco, Ligabue e Zucchero è pronta a consegnarci un esponente del genere nuovo di zecca: Manuel Rinaldi, potente cantautore originario della provincia di Reggio, al suo secondo lavoro in studio che segue a 10 minuti del 2014.\r\n\r\nDopo un esordio ispirato alle sonorità brit-rock, in Faccio quello che mi pare si svolta decisamente verso un più viscerale stile grunge anni ’90. Undici brani per una tracklist che non abbassa mai il tiro, senza perdersi in tecnicismi: a farla da padrone sono quasi sempre i suoni distorti delle chitarre e le percussioni martellanti, in classico stile rock’n’roll.\r\n\r\nUn disco tanto semplice negli arrangiamenti quanto articolato nei testi. A Manuel Rinaldi piace scrivere in maniera diretta, non gli va di filosofeggiare troppo. Nella sua musica si intuisce un forte bisogno di comunicare il proprio punto di vista sulla vita di tutti i giorni, sui problemi e sui dubbi che attanagliano l’uomo comune. Si va dall’ossessione per il denaro in Lo Stato dei Soldi all’ipocrisia degli atteggiamenti di facciata in La gente giusta.\r\n\r\nUn disco che sembra muoversi in maniera diametralmente opposta alle regole imposte da un certo tipo di mercato discografico. Non a caso, il fil rouge di Faccio quello che mi pare – che dà anche il titolo a una delle canzoni più riuscite – è l’affermazione della propria indipendenza mentale da tutto ciò che vuole essere precostituito, così nella musica come nella vita.\r\n\r\nIn maniera molto intima, l’album si chiude con Stanco degli dei, brano riflessivo, stilisticamente vicino all’indie rock italiano degli Afterhours, esortazione ad affrontare la vita senza confidare troppo in improbabili interventi divini.\r\n\r\nUn lavoro quello di Manuel Rinaldi arrabbiato e aggressivo, come spesso accade alle prime produzioni dei musicisti rock; proprio per questo, un album indiscutibilmente sincero e genuino.\r\n\r\n\r\nArticolo: Antonio Farinola