Il libro è una raccolta di venti storie, corredate dalla prefazione di Dario Cecchini di Panzano nel Chianti che, nella prima parte, prendono spunto dalla vita di Stinchi.\r\n\r\nSiamo nel bel mezzo del boom economico, dell’ abbandono delle periferie per inurbarsi nelle città industrializzate, quando Stinchi decide di intraprendere una strada diversa e coraggiosa: quella di divenire cuoco e di connotare il cibo come elemento identificante di un territorio, ovvero quello appenninico dell’ Alto Pistoiese. Sembra una scelta avventata ma non lo è, perché nel corso degli anni l’ utopia industriale della zona fallisce miseramente e Stinchi è uno dei pochi che riesce a restare sui monti natii diventando un emblema per l’ Appennino tosco emiliano e fondando, in stretta collaborazione con Carlo Petrini, la “Condotta Slow Food della Montagna Pistoiese” della quale è stato fiduciario per molti anni, dando valore e dignità a prodotti considerati poveri come alcuni formaggi, frutti del sottobosco, farine, legumi e altro.\r\n\r\nIl libro in questa prima fase, tratteggia il personaggio, i suoi aneddoti, le peripezie di un mestiere che non era certo reclamizzato come avviene ai giorni nostri e dove spesso contavano la fantasia e l’ ironia, riconoscendo al cibo la sua valenza sociale intesa come convivialità e piacere, non solo del gusto.\r\n\r\nLa seconda parte, quella dei “contorni”, vede Stinchi restare presente solo come firmatario delle ricette di cucina locale trascritte alla fine dei venti racconti ma uscire di scena come personaggio centrale. Qui, l’autore, tratteggia altri soggetti: boscaioli, fungai, bugiardi, carbonai, amici di crinale e di zingarate. E poi, alberi secolari, luoghi e borghi arcani dove le storie popolari sfumano nel leggendario e lì sembrano, nell’ immaginario popolare, restare immuni al logorio del tempo.\r\n\r\nA legare le due parti del testo sono i crinali appenninici e il cibo. Ed è da queste due prospettive che l’autore cerca, riuscendoci, di centrare l’ obiettivo. Soprattutto quello di definire un’ identità sociale e geografica tramite il “mangiare”. Considera il cibo così come lo interpreta Stinchi, ovvero come ultimo riparo delle identità locali, come un dialetto che ancora si riesce ad “ascoltare” nel fondo di un bicchiere o in una pietanza. Riesce nell’ intento di scrivere goliardico, semplice ma non banale e di narrare di cibo senza cadere in alcuni luoghi comuni, come ad esempio l’eccessivo folclore, oppure il noioso nostalgico dei bei tempi andati, o la stucchevole tendenza di chi vi ricerca bucoliche sensazioni.\r\n\r\nLe storie, scritte con quella semplicità e ironia che tanto somigliano alle genti di quell’ angolo di Appennino, consentono al lettore di intrepretare il valore del mangiare da più prospettive. In pratica, con il cibo si può (senza farlo cadere troppo dall’alto…) fare un po’ di tutto.\r\n\r\nPerché il cibo è anche politica, sociologia, storia, memoria, educazione e, soprattutto, godimento.\r\n\r\nSe vissuto e scelto bene, è il più grande fomentatore di felicità!\r\n\r\nMa più di ogni altra cosa ( e il sottotitolo è assai esplicativo in tal senso) è economia ed ecologia! Due termini che, in tempo di crisi, assumono un valore enorme sia per gli uomini che per la Terra, un valore che nasce e si fortifica attraverso un percorso di coscienza ecologica, di decrescita responsabile e non tramite quel consumismo che ha fatto sì che il Pianeta divenisse un dedalo di supermercati e un’ enorme discarica.\r\n\r\nUn testo lieve nella lettura, questo del Pagliai. Un volume dove si ride, si piange, ma dove, soprattutto, ci si pone delle domande. Sullo sfondo, scenario di tutti i libri dell’autore, i crinali, fossi, vallate, boschi e genti dai volti “meravigliosamente perdenti” dei resistenti di Appennino.\r\n\r\nNote sull’autore: \r\n\r\nFederico Pagliai è nato a La Lima, paese che lui definisce “ Il più all’ ombra di Italia”, nel 1966. Tuttora vive sulla Montagna Pistoiese, storica zona di confine e confino dell’ Appennino tosco emiliano. Nel 1985 sceglie una professione che gli permetta di non abbandonare i suoi monti per scendere in città: diventa infermiere e poi tecnico volontario del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Camminatore curioso e appassionato di montagna, ha già pubblicato con successo\r\n\r\n“ I miei crinali, sedici colpi di pennato” edito da Pacini Fazzi di Lucca nel 2008.\r\n\r\n“ Rughe da salita” edito da Biblioteca dell’ Immagine di Pordenone nel 2011\r\n\r\n“ Come un filo che pende” edito da Ouverture di Grosseto nel 2011\r\n\r\n“ Il bosco di nessuno di voi” edito da RCS Fabbri nel 2013\r\n\r\n“ Dateci il nostro Medioevo, Dottorafrica” edizioni Ouverture, 2014.\r\n\r\n“ Il mio paese, ammazzato” racconto contenuto nell’ Antologia “ Nessuno ci ridurrà al silenzio”, edizioni Cento autori di Napoli, anno 2015.\r\n\r\n“ La casa celeste” racconto contenuto nell’ antologia “ Marrakesca Exp”, Edizioni Atelier- 2016\r\n\r\n