Chi è Gladis Alicia Pereyra?
Bella domanda. E’ una domanda che mi sono posta più di una volta dandomi sempre risposte diverse. Posso dire che amo la solitudine senza essere una solitaria, d’altronde il mio lavoro richiede un certo isolamento, sono selettiva nelle amicizie e negli affetti, amo la bellezza in tutte le sue espressioni, amo l’arte, la musica classica e, ovviamente, la letteratura, non sopporto la volgarità soprattutto quella del pensiero, sono curiosa e sempre alla ricerca d’imparare cose nuove. A volte non sono troppo simpatica, sono ostinata, questo può essere un difetto e anche una virtù. Confesso di essere un tantino spericolata, mia nonna quando ero piccola mi diceva spesso “Se tu vedessi il diavolo gli tireresti la coda”, non ho mai incontrato il diavolo, quindi non so come reagirei. Insomma, sono innanzi tutto una scrittrice e, sicuramente, molto di me si trova, sotto mentite spoglie, sparso tra le pagine dei miei libri.
Com’è la sua giornata tipo? Ha degli hobby particolari o delle passioni, oltre alla scrittura?
Mi alzo verso le sette, sette e mezza e la mattinata la passo al computer. La mattina è il momento più proficuo per il lavoro. Nel pomeriggio rileggo e correggo ciò che ho elaborato in mattinata, esco a fare una passeggiata con Matilde, la mia cagnetta, o vado a vedere una mostra o al cinema. La sera leggo o vado ad ascoltare un concerto o a cena con amici.
Hobby veri e propri non ne ho, mi piace coltivare piante sui balconi; i miei balconi sono piccoli terrazzi pieni di verde, ci sono anche dei giovani alberi nati da semi che ho piantato nei vasi. Non c’è niente di più rilassante per me del vedere crescere le piante, purtroppo non posso dedicare a quest’attività tutto il tempo che vorrei.
Perché libri sulla storia del Medioevo?
Il Medioevo, quello vero, quello che sorge dai documenti, dall’architettura, dalla letteratura, dall’arte e dalle innumerevoli tracce lasciate nella nostra cultura, nelle nostre istituzioni e anche nella scienza, nelle finanze, nelle nostre abitudine, è un periodo ricchissimo e per niente buio, crudele e barbaro come l’immaginario popolare lo rappresenta. Alessandro Barbero in un suo intervento durante il Festival del Medioevo, tenutosi a Gubbio nei primi giorni di ottobre, ha parlato proprio di questi due “Medioevi”: uno falso ma profondamente radicato nella nostra immaginazione e un altro reale, vitale, intraprendente che sta alla base della modernità. Nei romanzi e negli articoli che scrivo, mi sono finora limitata a esplorare il basso Medioevo che ritengo un’epoca affascinante per l’intensa attività che si svolgeva in tutti i campi. Ogni impresa comportava delle difficoltà di cui oggi abbiamo perso memoria e questo spingeva l’uomo a mettere in gioco tutte le sue potenzialità e spesso anche la vita; i mercanti prima di partire per viaggi che potevano durare anche qualche anno facevano testamento, il viaggio era un azzardo e bisognava prendere precauzioni, tuttavia, questo non li fermava e si spingevano lungo la via della seta fino al lontanissimo Catay, l’odierna Cina, o affrontavano i pericoli del navigare per raggiungere i mercati di oltre mare. L’Europa era giovane e come tutti i giovani si apriva al mondo con la vitalità, l’intraprendenza e l’aggressività necessarie a crearsi un proprio spazio. Trovo che il vero Medioevo sia molto più ricco e appassionante di quello immaginario ed è questo Medioevo, su cui sarebbe necessario riflettere e persino trarre qualche utile lezione per l’odierno periodo storico che sotto certi aspetti, soprattutto quello culturale, non lo si può dire troppo luminoso, che cerco di raccontare nei miei romanzi.
Di solito come scrive? Fogli e foglietti con appunti e mappe concettuali scritte a penna, precise archiviazione al computer , oppure stesura di getto?
Di solito in biblioteca prendo appunti su quaderni o faccio fotocopiare le pagine che mi interessano. Per ogni libro o articolo ho una cartella sul computer dove sono archiviate la bibliografia ordinata per tematiche, la scaletta quando esiste, le idee, annotate in modo del tutto casuale e che poi, al momento giusto, saranno utilizzate nel libro, schizzi sul carattere dei personaggi che verranno sviluppati nel corso della stesura e un file dove vanno a finire gli scarti di lavorazione e dove tengo una sorta di laboratorio di riparazione in cui correggo o modifico i brani che non ritengo ben riusciti.
Solitamente scrive in ordine cronologico, cioè dal primo all’ultimo capitolo o a sbalzi temporali?
In ordine cronologico.
Quando scrive accetta suggerimenti e consigli?
Sì, soltanto però, se gli ho richiesti.
E’ difficile farsi pubblicare?
Dalle grandi case editrici, quelle che inondano il mercato di libri, non sempre capolavori, decisamente sì. I miei manoscritti prima di approdare alla Manni, hanno fatto il giro delle grandi case, quelle che garantiscono visibilità in libreria e, quindi, la possibilità di arrivare a un vasto bacino di lettori. Le risposte, a volte, sono state persino paradossali; spesso insieme al rifiuto di pubblicare il mio romanzo, mi arrivavano complimenti per la qualità del mio lavoro o “siamo costretti a non accettare la sua proposta, non senza rammarico…”. La sostanza è che le grandi case editrici giudicano i miei libri difficili da collocare sul mercato – qualcuna me lo ha detto chiaramente – perché toccano tematiche impegnative e in più sono ambientati nel Medioevo; non nel Medioevo fantastico, di cui ho parlato prima, che con quell’epoca nulla ha da spartire; al contrario, il Medioevo dei miei romanzi nasce da una rigorosa ricerca storica ed etnografica. Un indagine che contempla ogni aspetto della vita nel periodo che intendo raccontare. E’ un lavoro difficile ma appassionante, un vero viaggio nel tempo che non convince i grandi editori perché, a mio parere, sottovalutano i lettori. Quella dei grandi gruppi editoriali è un’idea conformista della letteratura, che non prende in considerazione le intrinseche qualità letterarie delle opere e rifiuta quelle che non si adattano alle tendenze del momento, tendenze peraltro dettate da loro stessi. Il risultato è un appiattimento della narrativa che non fa bene alla cultura e, a lungo andare, non sembra vincente neppure sul piano economico: esempio recente e lampante, e anche preoccupante, è l’enorme disavanzo della RCS Libri con il risultato che tutti conosciamo.
Tornando alla domanda, con la Piero Manni Editori non ho trovato i problemi cui prima accennavo. Ho pubblicato con loro anche il primo romanzo “Il cammino e il pellegrino” e siamo in grande sintonia. E’ una casa editrice seria che pubblica solo buoni libri ma che purtroppo, nonostante sia tenuta in grande considerazione dagli stessi librai, non trova in libreria il posto che le spetta per le qualità delle sue pubblicazioni. Per chi, come me, pubblica con case editrici indipendenti, nonostante godano, ripeto, come Manni di un ben meritato prestigio consolidato nel tempo, far arrivare il proprio lavoro a un ampio settore di lettori è una strada tutta in salita: il mio “I panni del saracino”, però, ha buone gambe e non teme i sentieri scoscesi, soprattutto perché sostenuto dall’incoraggiamento dei suoi lettori.
Suggerisce qualche idea per cambiare questa situazione?
Credo sia necessario che lo Stato conceda incentivi sostanziosi alla piccola editoria indipendente che corre il rischio di naufragare in un mercato sempre più in mano ai grandi gruppi editoriali. Si parla tanto della bio diversità, bisognerebbe capire che la bio diversità va salvaguardata anche nel campo della produzione libraria. Se scomparisse una certa editoria indipendente che pubblica libri d’innegabile valore culturale, sarebbe una grave perdita per il paese.
nDetto questo, penso che la cosa più urgente sia invogliare la gente a leggere, e non solo i giovani; un libro può essere un ottimo compagno per gli anziani soli o per i pensionati che hanno tanto tempo libero. In alcuni piccoli centri urbani, e spesso non tanto piccoli, non si trova neppure una libreria. In questi luoghi esiste un serbatoio di potenziali lettori che bisogna stimolare dando loro la possibilità di trovare i libri vicino a casa. Ogni piccola comunità dovrebbe avere la sua libreria in grado di trasformarsi in un luogo di riunione e scambio d’idee e un centro di attività culturale in generale -magari comprensivo di una biblioteca funzionante-. Aprire una libreria in questi centri può rappresentare un rischio economico che in pochi sono propensi ad affrontare; sarebbero, forse, più disposti a farlo se le istituzione venissero in loro aiuto provvedendo a stanziare contributi. Sarebbe anche auspicabile, penso, che i Comuni mettessero a disposizione di chiunque abbia interesse, privati o associazioni, di gestire una librerie dove non ne esistano altre, un locale comunale.
Educare la gente alla lettura, in un paese che – com’è noto – per percentuale di lettori rispetto al numero di abitanti si colloca tra gli ultimi in Europa, è un compito che spetterebbe alle istituzioni, se l’Italia ambisse veramente a diventare la super potenza culturale, caldeggiata da Renzi in un recente discorso.
Foto di Magda Laini
Intervista di Daniela Lombardi