Monia Angeli è cantautrice jazz che in passato si è esibita con Paul Young e Fabrizio Bosso e ha partecipato a spettacoli con Gene Gnocchi e Paolo Villaggio.\r\n\r\nIl brano “Ho passato un Week End al Ficocle”, che anticipa l’album in uscita a fine anno, è arrangiato da Stefano Nanni (ha lavorato con Bobby McFerrin, Amii Stewart, Pavarott e con Michele Centonze ha collaborato alla composizione e realizzazione della musica per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 e di Soči 2014)\r\n\r\nNoi l’abbiamo incontrata per conoscerla meglio e farci raccontare qualcosa di sè.\r\n\r\nCosa hanno di speciale gli anni Cinquanta, in che modo ci parlano ancora?\r\n\r\nGli anni Cinquanta sono il periodo della rinascita dopo la guerra, le persone lasciano dietro di sè le paure e torna la voglia di sorridere, di divertirsi e di eccedere fra ampie gonne, linea nera sull’occhio, boccoli gentili ed aggraziati, colori pastello, pois. Nel video di “Ho passato un Week End al Ficocle” ho voluto riproporre in parte questo stile, ma rendendolo “favola”, ampie gonne vaporose e capelli acconciati a boccoli, ma su sfondi cartoons e con nani intorno. Ne è venuto fuori un accostamento divertente e fresco che ho amato da subito.\r\n\r\n \r\n\r\nQuanta strada ha fatto il Jazz in Italia e quanta ne deve ancora fare?\r\n\r\nParlerei ora di questo argomento e sicuramente con le mie parole susciterò critiche, ma preferisco dire con sincerità il mio pensiero. Ritengo che a livello musicale l’Italia sia una forza nel Jazz, che non abbia assolutamente nulla da invidiare all’America, abbiamo musicisti pazzeschi, straordinari; quello che ci manca, a mio parere, è lo spirito con cui gli americani vivono questo genere. Non sto parlando dei grandi nomi del Jazz italiano, perché chi arriva così in alto vuol dire che ha condiviso, colto e vissuto quello spirito e neppure delle grandi rassegne jazz; parlo del jazz nel quotidiano, nei conservatori, nei club, nei circolini di jazzisti insoddisfatti e chiusi che popolano le città. E’ come se il jazz in questi posti fosse un po’ la brutta copia di se stesso, come se dovesse rimanere fedele a stereotipi che non fanno parte del jazz. In Italia non è condivisibile o apprezzato che un jazzista sia tale se poi si cimenta in altri generi, come se perdesse la sua purezza: ma come il jazz è contaminazione! E’ dialogo! Poi lo stereotipo della cantante sempre con la stessa voce, con gli stessi stilemi di tutte le altre, con abiti mai vistosi, con in viso la serietà di chi non ricordi che il jazz è nato per divertire, per far spettacoli, per far ballare; una cantante jazz che sorrida in Italia è malvista! Ma forse la cosa più grave è l’aver associato indissolubilmente il Jazz prima alla bravura, poi alla comunicazione; in Italia il jazzista deve fare, fare, fare note, scale, patterns, deve dimostrare insomma, non comunicare, non essere, non inventare nuove meravigliose melodie e ritmi. Questo comporta che alla fine il jazzista italiano si isoli, nella sua presunta superiorità e arrivi sempre meno alle persone. Oggi una persona mi ha scritto “siccome i più grandi jazzisti nascono dopo il Bop, come mai non hai ancora fatto un disco di Bop”? Ho risposto: “ma io sono un’anima swing, amo gli anni 30-40, Fats Waller, Armstrong, la Fitzgerald, la cantante che canta con le Big band nelle grandi sale da ballo”, e lui “ma se uno vuole dimostrare di essere un bravo cantante di jazz deve fare anche dischi di BeBop”, gli ho risposto “ma io sono un’artista, sono quello che canto e non canto per dimostrare, l’arte non è dimostrare è essere”. Insomma, rimarrò così una jazzista anomala, sorridente, vistosa, ironica, swing e con il progetto “Ho passato un Week End al Ficocle” molto contaminata dal pop.\r\n\r\n \r\n\r\nTra le molte collaborazioni eccellenti che hai avuto quale ti ha arricchita maggiormente?\r\n\r\nCon Tony Renis ho imparato a sentirmi portavoce del mio paese, l’Italia, con orgoglio, rispetto ed un po’ di nostalgia. Ad amare la melodia italiana, a conoscerla, a mescolarla alla mia musica e alla fine a renderla indispensabile per la mia musica.\r\n\r\nLavorare con Paolo Villaggio, fare un viaggio in macchina con lui è come essere nella più grande biblioteca dedicata al cinema, ma vivente.\r\n\r\nSu Fabrizio Bosso: sono andata a prenderlo in stazione prima di un concerto insieme. Aveva in spalla la tromba e poche altre cose. Non ricordava più da quanto tempo fosse in giro per concerti, sapeva però che avrebbe passato il giorno successivo con la sua famiglia e gli si sono illuminati gli occhi. Semplice, strumento in spalla, valori forti, bravura eccezionale, professionalità a mille. Un esempio.\r\n\r\n \r\n\r\nCosa contiene il tuo nuovo lavoro?\r\n\r\n“Ho passato un Week end al Ficocle” è una canzone che ha avuto un parto naturale: la prima frase che è uscita è stata proprio quella del titolo ed era già in musica, da lì è nato tutto, il desiderio di voler fare ascoltare il brano ad un pubblico più vasto di quello a cui sono abituata, di voler giocare con le persone sul suono della parola “Ficocle” (ogni giorno sui social mi scrivono neologismi coniati da questo nome, oggi è stata la volta di: “è una ficoclata!”). Per gli arrangiamenti come sempre il grandissimo maestro Stefano Nanni (il pianista pazzo del video) non mi ha abbandonata e si è buttato in questa nuova avventura. Per il video, non avevo dubbi che Davide Legni avrebbe trasformato in realtà le mie parole, fatte di boccoli, nani, bagnini alla braccio di ferro, mi conosce troppo bene! “Ho passato un Week End al Ficocle” sarà il primo brano di un progetto che continuerà ad unire swing ed ironia.\r\n\r\n \r\n\r\nPer conoscerti meglio ci dici tre cose che ti piacciono e tre che detesti?\r\n\r\nAmo fare colazione con brioche alla nutella, cappuccino e giornale.\r\n\r\nAmo Fats Waller e gli anni 30, compresa Shirley Temple e i suoi splendidi boccoli.\r\n\r\nAmo i vestitoni, i fiori fra i capelli e l’espressione allegra della gente quando mi vede vestita così.\r\n\r\nDetesto chi tamburella con le dita.\r\n\r\nDetesto la trippa, i ciccioli e le lumache.\r\n\r\nDetesto chi non fa quello che vorrebbe fare.\r\n\r\n \r\n\r\nE quali sono i tre momenti professionali che ti hanno maggiormente influenzata/cambiata o che ti hanno aiutato ad essere la persona che sei adesso?\r\n\r\nPenso non possa esserci vita più bella di quella che fa l’artista, anche se le mie amiche pensano sia pazza quando lo dico, visto che non sai mai quando parti, non sai quando torni, non sai se sarai con la famiglia per feste, però dona emozioni meravigliose. Potrei dire che i momenti che mi hanno cambiata di più sono quelli vissuti in luoghi importanti con protagonisti importanti, come Porta a Porta, Paul Young, ma il realtà non sono sati forse i momenti belli a cambiarmi, ma quelli brutti: andare a Milano per provini, carica di speranza ed entusiasmo, ricevere proposte da persone considerate serie e ad un mio rifiuto sentirsi rispondere “tornatene a casa, qui a Milano non farai mai più nulla”, oppure essere pronta per salire sul palco a fianco di una star, in una delle varie serate con lui, e sentirsi dire, dopo km di macchina, dopo essermi cambiata: “tu questa sera non Sali”. Gli episodi negativi diventano i più positivi, il tempo assegna il vero valore a queste cose, che passano, mentre la musica resta e si rafforza dentro.\r\n\r\nL’incontro con Roberta Gambarini, artista jazzista eccelsa che vive in America. Mi ha fatto scoprire che anche i cantanti di jazz in America ridono, che potevo portare nel jazz la mia allegria, la mia solarità. Mi ha insegnato che dovevo essere nel canto quella che sono nella vita per poter rispondere dignitosamente alla domanda: ci sei o ci fai?\r\n\r\nIntervista di: Elena Torre\r\n\r\n