Marchigiano, studioso di storia Giovanni Melappioni ha conquistato il secondo premio (Giara d’Argento) al premio La Giara con il romanzo “Missione d’onore” noi l’abbiamo incontrato ed ecco cosa ci ha raccontato.\r\n\r\n\r\nQuando è nata e dove affonda la tua passione per la Storia?\r\n\r\nDa che ricordo, sin da ragazzino ho provato una forte attrazione emotiva per i grandi eventi della Storia. Fantasticavo di ricrearli con i miei giochi, in primis i soldatini di plastica che mio padre mi portava ogni volta che tornava da un viaggio. Quelle emozioni non mi hanno mai abbandonato, sono cresciute insieme a me e si sono evolute nel piacere della ricerca storica, della ricostruzione dei fatti e delle personalità, coronando infine nella scrittura di romanzi, attività questa più recente, ma che doveva essere latente in me, da qualche parte.\r\n\r\nTu hai vinto il premio letterario La Giara e presentato il tuo libro al Salone. È cambiato qualcosa nel tuo modo di scrivere o concepire la scrittura?\r\n\r\nLa mia scrittura cambia con il mio invecchiare più che con i risultati, che al massimo possono essere delle conferme ma non li sento come ispirazioni. Non sono più il ragazzo che ha scritto l’Ultima offensiva a ventisei anni, e nemmeno il giovane uomo di Missione d’onore, ormai. La vita va avanti e le esperienze influiscono come summa, quasi mai in maniera diretta. Come per la maturazione del carattere, certi eventi potranno essere fondamentali ma sarà sempre un processo talmente complesso e così pregno di fattori che volerne citare alcuni, di punti di svolta, sarebbe solo una semplificazione per poter vedere queste tappe come più importanti di altre. Il premio La Giara ha rappresentato per me il giudizio positivo di una giuria composta da esperti. Non ha modificato il percorso, semmai mi ha in qualche modo rassicurato sulla strada già scelta, e lungo la quale mi sto avventurando con i miei scritti.\r\n\r\nCosa della Storia ti affascina?\r\n\r\nHo sempre percepito un senso di rassicurante controllo nello studiare ciò che è passato. Come se completassi dei mosaici, senza alcuna fretta né pressione; inizio a collegare i dettagli minuscoli, sconosciuti, fino a quando non diventano fondamentali nel quadro che si sta delineando, e mi addentro nei fatti. Scopro esseri umani dietro divise, corone, abiti monastici. E il fatto che mi fermi a rispondere a una simile domanda solo se viene dall’esterno è indicativo di quanto questa materia mi appartenga. Ne sono innamorato, difficile spiegare l’amore con parole precise.\r\n\r\nLe vicende narrate nel romanzo sembrano poter accadere in ogni tempo e forse in ogni luogo. Quanto è funzionale allora l’ambientazione siciliana?\r\n\r\nInizialmente avevo pensato alla Calabria come luogo ideale per la vicenda. Poi però, mentre mi documentavo sulle prime fasi del conflitto in Italia, rimasi colpito dalla battaglia del Ponte di Primosole. L’evento si adattava bene alla squadra di soldati tedeschi che avevo abbozzato, in quanto a Primosole i paracadutisti del Reich combatterono coraggiosamente, e questo mi permetteva di evitare l’uso dei flashback per mostrare quanto l’unità fosse coesa, dal momento che in Calabria invece non vi furono scontri di quel genere. Inoltre i piccoli paesini ai piedi dell’Etna si dimostrarono adatti quanto quelli dell’Aspromonte, se non di più, per la morfologia del terreno, importante per diversi aspetti della trama che non posso svelare ma che si intuiranno durante la lettura.\r\n\r\nDal romanzo i soldati tedeschi emergono come portatori di valori positivi, o almeno come uomini a tutto tondo, non come i cattivi bidimensionali a cui ci hanno abituato i film. C’è una volontà precisa dietro a questa scelta di utilizzarli come i protagonisti della tua storia?\r\n\r\nLa mia idea era di porre degli uomini di fronte a una scelta. Utilizzare figure ormai cariche di valori positivi aprioristici come i soldati Alleati che hanno, per nostra fortuna, sconfitto i nazisti, non avrebbe reso il punto focale dell’intera storia così intenso e drammatico. Ho scelto i tedeschi perché il loro essere dalla parte sbagliata del fronte li rendeva ideali. Non era comunque mia intenzione giustificare azioni che non possono essere giustificate, il nazismo era e rimane un’aberrazione intollerabile, e infatti mi limito a descriverli nella loro umanità piena di dubbi e difetti, come tutti gli esseri umani.\r\n\r\nInes è una ragazza atipica per la società siciliana dell’epoca da te descritta, è un vero punto di rottura con tutto ciò che la circonda. Credo che sia così perché, a differenza di altri suoi coetanei, ha avuto il privilegio di poter leggere libri, di scoprire i classici. Per te la lettura ha questa capacità di cambiare le persone e qual è il tuo rapporto con la lettura?\r\n\r\nSono fermamente, assolutamente e devotamente convinto che il mondo migliorerà solo se aumenteranno i lettori. Ho sempre pensato che noi esseri umani siamo l’autocoscienza dell’universo, lo strumento attraverso il quale ciò che è spiega e ammira se stesso. E nei libri si riversano i frammenti di questa gigantesca anima comune. Leggere significa aprire le nostre percezioni a tutto questo, allargarci e abbracciare tutto questo. Farne parte con la massima consapevolezza che l’evoluzione ci ha consentito.\r\n\r\nContinuità e superamento da L’ultima offensiva a Missione d’onore?\r\n\r\nMissione d’onore è un romanzo meno intimo e più completo. È una storia nella quale la guerra serve solo da sfondo perché non era la guerra che volevo raccontare, quanto, invece, il sempre difficile compromesso degli uomini nel decidere fra ciò che è giusto e sbagliato. C’è una sottile linea che divide il bene dal male, essa si sposta a seconda dei punti di vista e non è mai oggettivamente tracciata. Questa linea, ogni volta che la si vuole tenere ferma, rigida, regolata sulle nostre convinzioni, ci costringe a usare il coraggio, l’arma più straordinaria di cui disponiamo perché la meno comune, la più difficile da gestire. Nessuno di noi sa bene di quanto coraggio disponga prima di doverlo usare. E quindi mentre in L’ultima offensiva descrivevo come una specie di spettatore la guerra e i suoi effetti su noi esseri umani, in Missione d’onore ho preso il controllo, ho creato una protagonista, Ines, che è coraggiosa quanto normale, straordinaria senza essere fittizia. Nel primo romanzo mostravo ciò che esisteva già, modulando delle lenti i cui filtri erano costituiti dalla mia personale sensibilità. Con Missione d’onore ho davvero scolpito nella roccia per creare da zero l’intero costrutto.\r\nVolendo fare un paragone sono passato dall’assemblare un armadietto acquistato a costruirmene uno partendo da un tronco d’albero.\r\n\r\nDa cosa sei partito per Missione d’onore e dove ti ha condotto?\r\n\r\nSono partito dalla scena madre: un bambino che sta per subire una violenza carnale e qualcuno, che non dovrebbe essere nel luogo scelto dall’orco, che osserva e si trova a dover decidere cosa fare. Mandare all’aria i propri piani e salvare l’innocente, o ignorare la violenza e proseguire per la propria strada?\r\n\r\nCosa dobbiamo aspettarci da te?\r\n\r\nNon mi vergogno di affermare che sto lavorando per diventare il migliore scrittore del nostro secolo. E con altrettanta onestà sono disposto ad accettare di non riuscire affatto nell’impresa, perché già solo viaggiare verso una simile, iperbolica, méta sarà motivo sufficiente per le mille vite che ancora devo vivere!\r\n\r\n \r\n\r\nIntervista di: Elena Torre\r\n\r\n