Cosa del mondo descritto da Verdone ti è entrato dentro?\r\n
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\r\nIn che modo e misura i suoi personaggi ti appartengono?\r\n\r\n- Direi che più che i personaggi di Verdone, ciò che mi appartiene sono i loro tic, le loro distorsioni. Ciascuno di loro è riuscito a scavare un interesse viscerale nel mio modo di concepire un certo tipo di scrittura. Credo che le caratteristiche di questi personaggi si siano ben sposati con la mia attenzione per i particolari, per le sfumature delle persone. In che misura mi appartengono? Pensa a un bicchiere vuoto, a una bottiglia di acqua che lo riempie di acqua e che non si ferma. Ecco, ci siamo. Per dire che non esiste più il confine tra finzione e realtà.\r\n\r\nSotto quali spinte è nato Una maglietta di spugna girocollo tipo mare?\r\n\r\n- Penso da tempo al progetto Una maglietta di spugna girocollo tipo mare, ma non mi sento di dire che lo rimandavo. Forse attendevo che maturasse, che diventasse come volevo. La prima spinta è una sorta di maniacalità, nel senso buono del termine, che alimentava il desidero di “dirigere” alcuni di questi personaggi che identifico come capisaldi della mia personale filmografia. La seconda è dovuta alla volontà di esplorare il mondo di questi personaggi e capire come si sarebbero mossi se dietro non ci fosse stato Carlo Verdone, in una dimensione meno grottesca, dove il tic è meno comico e più invalidante. La terza, invece, è semplicemente dovuta alla voglia di tributare un grazie a Verdone che reputo il più poliedrico artista italiano dell’ultimo trentennio.\r\n\r\nCome hai scelto i personaggi da far vivere oltre lo schermo?\r\n\r\n- Ho pensato che tre fosse il numero giusto. Più personaggi avrebbero reso ridondante il progetto. E siccome il libro è anche un grande regalo che ho fatto a me stesso, ho scelto i miei preferiti: Enzo, Oscar e Furio.\r\n\r\nQuali le possibilità e i limiti di lavorare con personaggi già esistenti?\r\n\r\n- Bella domanda. Lavorare con personaggi già esistenti, tra l’altro provenienti dal cinema, concede delle grandi possibilità ma anche dei limiti. Fra tutte le opportunità mi viene in mente quella di aver avuto a disposizione delle figure pronte, già caratterizzate (nei loro pregi e difetti), e per questo ‘da lavorare meno’, mi è bastato osservarle, studiarle nei minimi dettagli. Il limite più grande, invece, è stato il rischio che ho corso durante tutta la narrazione: quello di banalizzare il libro, di fare una brutta copia dell’opera verdoniana (e se sono riuscito a evitare questo errore, potranno dirlo solo i lettori).\r\n\r\nDall’83 ad oggi la vostra può essere definita una lunga storia d’amore…\r\n\r\n- Effettivamente con Carlo Verdone vivo una lunga storia d’amore artistico iniziata nel lontano 83, come ho scritto nella mia prefazione. Quotidianamente sento il bisogno di rivedere qualche minuto di un suo film, come fosse una pillola, una specie di terapia cronica. Conosco le battute a memoria, la gestualità di questo nostro grande caratterista che, non a caso, viene spesso accostato ad Alberto Sordi. Carlo è una maschera, non è un semplice comico. Circa un mese fa, questa mia rincorsa è culminata nel nostro primo incontro: è stato un po’ come entrare dentro un mondo parallelo che corre accanto alla realtà da anni. Una gran bella sensazione.\r\n\r\nDopo questo omaggio cosa ti aspetta?\r\n\r\n- Dopo questo progetto, ci sono due cose delle quali mi sto occupando: cerco casa a un romanzo che ho finito circa un anno fa e ho iniziato a scrivere una progetto molto faticoso che riguarda la città di Nagasaki.\r\n\r\nIntervista di: Elena Torre