Simone Dini Gandini, giovane scrittore toscano, si pone all’attenzione dei piccoli lettori portando su pagine colorate il bestiario medievale di Brunetto Latini nel libro “I pesci del mare non han numero”, edito da Edicolors.
L’abbiamo incontrato per sapere qualcosa di più…
Quando hai incontrato l’opera di Brunetto Latini e perché hai deciso di trarne un lavoro per bambini?
Beh, Brunetto Latini non è un autore molto noto al pubblico contemporaneo e anche io, prima di averci a che fare per ragioni di studio, non lo conoscevo quasi per niente. Me lo ricordavo come un dannato a cui Dante aveva riservato una particolare attenzione nel canto XV dell’Inferno, e forse ne era stato il maestro, ma non molto di più. Finché un esame di filologia romanza all’università non mi ha rinfrescato la memoria: in pratica Brunetto aveva composto il Trésor, un’enciclopedia che raccogliesse tutto lo scibile medievale, e la scrisse in francese perché all’epoca era la lingua che gli avrebbe permesso una maggiore diffusione. Vi si leggono nozioni di storia, geografia, astronomia, astrologia eccetera eccetera e infine un bestiario, cioè un catalogo di descrizioni di animali. E qui mi è scattato in testa qualcosa. Non so esattamente cosa, ma qualcosa è scattato. La risposta più semplice e più onesta dovrebbe essere un “non lo so” (risposta che va bene anche per la stragrande maggioranza delle domande che mi vengono poste e che mi pongo), ma a livello inconscio forse stavo cercando proprio qualcosa del genere. Ridurre un vero bestiario medievale in filastrocche mi è sembrata allora la cosa più opportuna da fare, specie se hai circa venticinque anni e ti è venuto in mente che da grande vorresti provare a fare lo scrittore. Anzi, lo scrittore di libri per bambini, perché inventare le storie ti piace un sacco e non vuoi avere troppo a che fare con quell’ambiente colto, accademico e polveroso che spesso circonda la letteratura “per grandi”. Ma per fare lo scrittore hai bisogno di un editore. E questa de I pesci del mare non han numero mi è sembrata un’idea che potesse interessare i bambini e avesse allo stesso tempo un suo perché. Fortunatamente ho trovato un editore che ha creduto quanto me in questo progetto.
Cosa del bestiario medievale ti ha affascinato?
La fantasia, in primo luogo. Poi, riflettendoci su, la sua insolita commistione di fantasia, cultura e realtà. Brunetto Latini nel Duecento era un’autorità nel campo della cultura e il Trésor era preso come la summa di tutto lo scibile possibile e immaginabile: in pratica aveva per l’uomo del Medioevo (con le dovute proporzioni, beninteso) lo stesso impatto che oggi internet ha su di noi; le persone credevano ciecamente in quello che trovava scritto in quell’enciclopedia. Da persona del terzo millennio mi ha stupito enormemente questo aspetto, mi ha affascinato tantissimo: pensa se accadesse anche alla nostra civiltà moderna una cosa di questo tipo, che un uomo qualsiasi fra qualche secolo rileggesse le teorie della nostra civiltà, quelle teorie e punti presi che noi oggi riteniamo irremovibili e intoccabili, e le trovasse come noi troviamo quelle del medioevo. Sarebbe straordinario. Poi mi ha sbalordito leggere, alcuni mesi fa a libro ultimato, le Bucoliche: ecco, Virgilio attribuiva alle api le stesse caratteristiche che ha riportato anche Brunetto. Incredibile. Ma qui bisogna entrare nella visione del mondo di un uomo del Medioevo, un uomo che basava la sua vita solo sulla grande tradizione che lo ha preceduto e non si sentiva in grado non già di contraddirla ma nemmeno di superarla.
In che modo avvicinare i bimbi alla letteratura colta?
Guarda, non sono il primo né sarò l’ultimo autore che cerca di avvicinare i bambini a un certo tipo di letteratura, operazioni culturali del genere se ne trovano in tutte le librerie. Credo di essermi mosso nel solco tracciato da chi mi ha preceduto: giocando. La rima, il ritmo, l’illustrazione, fanno tutti parte di un grande gioco che tocca differenti campi ma che contribuisce a generare l’unico effetto del divertimento. Il bambino in questo caso ha l’impressione di leggere un libro fantasy, uno di quei libri che si leggono per piacere, che so un Harry Potter o Le cronache di Narnia, e invece tiene tra le mani una colonna della cultura e del pensiero del medioevo occidentale. In qualche modo lo sto fregando, ma lo faccio per uno scopo nobile!
In che modo hai tenuto conto della metrica originale?
Il Trésor è una prosa in antico francese, quindi in pratica mi sono preso tutta la libertà possibile e immaginabile; del poemetto in versi Il Tesoretto, composto sempre da Brunetto con la volontà di farne, forse, un Bignami ante litteram, non ho preso invece niente. Le filastrocche dovevano risultare contemporanee, adatte al nostro tempo: in pratica ho agito come un librettista d’opera, operando in autonomia all’interno di un testo preesistente pur lasciandone inalterato lo scheletro (le caratteristiche che elenca Brunetto infatti le ho riportate tutte). I pesci del mare non han numero non vuole essere un libro per i figli o i nipoti di pochi eruditi, vuole essere un libro per tutti. O per tanti, almeno quello è il mio pensiero. Se avessi scritto un libro strettamente legato alla tradizione e alla cultura alta sarebbe crollata inevitabilmente l’idea della diffusione, e non era quello che volevo. Volevo un libro vivo, attuale, che parlasse ai bambini in una lingua a loro vicina. Prevengo possibili critiche: a chi mi dice che qua e là nel testo si trovano vocaboli desueti, rispondo citando a braccio (mi perdonerai) Gianni Rodari, il quale sosteneva che non bisogna aver paura di proporre ai bambini concetti o parole difficili perché i bambini capiscono tutto. Mi trovo molto d’accordo con questa frase e nella prefazione ho scritto più o meno qualcosa di simile. La sintassi è piana, ci sono molte coordinate, ma qualche elemento per cui valesse la pena fermarsi un attimo e riflettere mi sembrava doveroso inserirlo. Così ho optato per qualche vocabolo un po’ meno noto. Senza contare anche le esigenze di rima. Ad una presentazione un genitore mi ha detto che anzi, spiegare al proprio figlio qualche parola, era un’ulteriore occasione per condividerci qualcosa, specie in un momento in cui il tempo da dedicare ai più piccoli scarseggia.
Ma torniamo alla metrica che poi mi perdo nei discorsi. La metrica oscilla in modo assolutamente anarchico dalle forme legate alla tradizione italiana dell’endecasillabo e del settenario fino al verso sciolto, ma gioca principalmente sugli accenti, sulle rime, sulle allitterazioni e le assonanze. Ci sono passaggi che secondo me non si allontanano tanto dal rap. Le filastrocche poi hanno intonazioni diverse, si passa da quelle più sostenute (che immagino lette da una voce seria e impostata) a quelle più brevi e divertenti. C’è una filastrocca per ogni umore.
Immagini e parole come sono legate?
Personalmente credo che in un libro per bambini, specie uno come questo, le illustrazioni siano fondamentali e debbano assolutamente dialogare con il testo. Il libro per bambini è un oggetto complesso che si muove su più piani, ma ne deve uscire un unico messaggio. Con l’editor Adriano Milesi e Fausto (Monanari, l’illustratore, n.d.r.) ci siamo confrontati e abbiamo trovato subito un’intesa: ognuno nel suo campo doveva sentirsi libero di esprimere sé stesso e la propria creatività, pur restando fedele al concetto di fondo che avevamo concordato. Che era il seguente: quando ci siamo incontrati a Genova ho detto chiaro e tondo: “Voglio che questo libro sia un libro anarchico (scusa se ritorno sul concetto dell’anarchia ma è fondamentale); che il lettore voltando pagina non abbia idea di cosa lo aspetta nella pagina successiva e che quando ha finito di leggerlo abbia voglia di uscire di casa danzando; voglio che sia un’esplosione di coriandoli”. Sì, avrei potuto benissimo sostituire la parola “coriandoli” con “colori” e forse mi avrebbero capito di più, ma volevo che capissero bene che sono di Viareggio. Credo che tutti e tre siamo riusciti nel nostro intento e che il libro, a livello tipografico-editoriale almeno, sia veramente godibile. Girando tra gli scaffali delle librerie non ne trovo molti di così curati, specie a quel prezzo. Mi è molto piaciuto poi il modo in cui tutti e tre abbiamo lavorato, è stato un vero lavoro di concerto. Ho potuto seguire passo passo la costruzione di un libro; ad ogni criticità ci siamo confrontati, tutti e tre insieme, e abbiamo optato per la soluzione migliore. Questo non vuol dire che sia stato tutto rose e fiori, almeno all’inizio, però ci siamo trovati sulla stessa linea dopo veramente pochissimo tempo e il libro è qui davanti a dimostrarlo. Sono molto soddisfatto e auguro a Fausto tutto il meglio per il prosieguo della sua carriera, se lo merita. In Italia abbiamo delle vere eccellenze, basterebbe solo fornire degli spazi per farle esprimere.
Quale degli animali fantastici ti assomiglia di più?
(Ride) Ma intendi animali che non esistono in natura? No, perché a loro modo sono tutti quanti animali fantastici: anche se le formiche, a differenza dell’unicorno, esistono davvero, non ne sono mai esistite di grandi come cani che estraevano l’oro da sotto la sabbia; lo stesso si può dire delle conchiglie, che non sono pesci e non si nutrono di rugiada per produrre le perle (che bella immagine, però!) ma ne troviamo a migliaia sulle nostre spiagge. Considerando però che se non fossi un essere umano mi piacerebbe essere un uccello, penso che potrei sentirmi uno struzzo, pigro e distratto, o un pavone, che si fa tanto bello con la coda per ricevere i complimenti degli uomini ma allo stesso tempo mette in bella mostra anche il sedere. In fondo, se non fossimo un po’ egocentrici non avremmo scelto di scrivere libri. Poi, a pensarci bene, quella del pavone è anche una bella metafora: chi si mostra, chi si fa bello per gli altri, mette inevitabilmente in evidenza anche i propri lati deboli, le proprie mancanze (qui, le parti meno nobili). La perfezione in valore assoluto non esiste ma, a sentire Brunetto, forse nemmeno la perfezione della forma.
Cosa ti proponi con questa operazione?
Nella prefazione ho scritto che è un piccolo tentativo di accendere qualcosa nei ragazzi, di stimolarli a guardare un po’ oltre; è un po’ come piantare un seme in un terreno fertile, qualche pianta certamente crescerà e io ne sarò contento. Poi scrivere per bambini mi diverte moltissimo, non mi accorgo nemmeno di quanto tempo passi davanti al computer. Senza contare che avere a che fare con i bambini mi sorprende ogni volta, e io adoro non sapere cosa mi aspetta. Non sai mai cosa ti chiederanno, cosa ti suggeriranno, che reazione avranno nei tuoi confronti: durante un laboratorio che ho tenuto qualche giorno fa, la mamma di un bimbo di non più di sei anni si avvicina e mi fa: Mio figlio ha detto che sei l’autore più simpatico che conosce. Che ridere! Se riuscissi a trarne un guadagno decente avrei trovato il lavoro della vita. Però considerando che sono relativamente giovane (e per gli standard italici sono poco più di un bambino), questo libro può essere un punto di partenza. Un buon punto di partenza. Alla fine, considerando il periodo, pare che qualche copia si sia venduta; è distribuito su tutto il territorio nazionale e Mondadori lo distribuisce nelle sue librerie di catena.
Ma ora basta parlarne perché non mi vorrei portare sfortuna da solo.
Intervista di: Elena Torre