“Un libro vivido, sorprendente” The New York Times\r\n\r\n“Un resoconto dettagliato” The Kirkus Reviews\r\n\r\n“Una rivelazione appassionante ed esclusiva” Goodreads\r\n\r\nScrive Wired: “È difficile parlare di Anonymous: è una non organizzazione di gente a cui piace fare scherzi trasformatasi in attivista trasformatasi in hacker e poi finita in un calderone caotico e drammatico di applicazione della legge. Una storia che è difficile da capire, e difficile da scrivere”. Eppure lei c’è riuscita. \r\n\r\nParmy Olson, giornalista e caporedattrice di Forbes Londra, è riuscita a fare ordine nel disordine, a dare nomi agli Anon, gli anonimi, o almeno, certo ad alcuni di loro. È riuscita, da donna, a infiltrarsi in una sommersa, criptica, non ben definita sottocultura maschile e a tornarne in superficie con “notevoli interviste agli antieroi di Anonymous”, scrive il Washington Post. Il suo lavoro è Noi siamo Anonymous, 4 stelle su Goodreads, pubblicato negli States per i tipi di Randome House lo scorso giugno. Dove Anonymous, di cui tutti abbiamo almeno una volta sentito parlare, è un collettivo di hacker – e non solo – attivisti internettiani, una forza politica, una legione nell’ombra, una maschera mobile e imprevedibile temuta dai potenti che non ha un’organizzazione centrale ne’ membri ufficiali. Se credi in Anonymous e ti definisci tale sei un Anonymous. Questo da fuori. Da dentro “un mondo paranoide i cui abitanti non si fanno mai domande personali e normalmente mentono sulle loro vite per proteggersi” scrive la Olson. Chi sono gli Anonymous? Più difficile dirlo ma per la maggior parte ragazzi o addirittura ragazzini britannici, americani, irlandesi, ma anche professionisti “sotto copertura”, in ogni caso, dice la Olson, “non sono persone normali in circostanze eccezionali. Ma persone straordinarie in circostanze straordinarie”. Come Jake Davis, alias “Tapiary”, con cui la giornalista è entrata in confidenza, 19 anni, delle isole Shetland, l’anno scorso uno degli uomini più ricercati del pianeta oggi libero sotto cauzione e in attesa di giudizio. Accusato di 5 reati di hackeraggio è il geniale comunicatore di LulzSec, un ramo “dissidente” di Anonymus -, come si legge sulla Kirkus – quello in cui la Olson è entrata in profondità. Che cosa fanno gli Anonymous, che cosa hanno fatto? Be’, la lora storia comincia così…\r\n\r\nAnonymous balza agli onori delle cronache nel 2008 oscurando il sito di quei potentoni di Scientology. Antefatto: un altro sito, Gawker, aveva pubblicato un video con un improbabile Tom Cruise cheerleader per la chiesa/setta di Ron Hubbard. Il video era finito su youtube e Scientology aveva tentato di eliminarlo appellandosi a una violazione di copyright. Quando la notizia arriva a 4chan – originariamente un sito di incontro di varie sottoculture internettiane – i tempi sono maturi per una presa di coscienza del potere del web, o meglio del potere della massa attraverso il web. Secondo Parmy Olson, infatti, proprio quest’idea di “portare la gente a credere nel potere della massa” è stata una delle conquiste più significative del gruppo. In ogni caso, uno user di 4chan lanciò un messaggio: “È tempo di usare le nostre risorse per fare qualcosa in cui crediamo”. \r\n\r\nUn primo gruppo nebuloso di hacker e attivisti internettiani si unì in un collettivo: Anonymous era nato e il sito di Scientology era stato oscurato. Primo attacco, prima vittima. Poi sono venute la Sony, la Fox, i sistemi informatici di Mastercard e Paypal, il governo tunisino ed egiziano e la Cia fino a quando l’anno scorso il Dipartimento per la sicurezza nazionale Usa ha espresso pubblicamente le sue preoccupazioni. “La storia di Anonymous e delle sue ramificazioni è straordinaria per la velocità e l’imprevedibilità in cui sono cresciuti”, scrive il New York Times. “Olson ricostruisce gli eventi in maniera impeccabile e fornisce una chiara linea temporale attraverso le complicate e tortuose vicende di Anonymous. Si concentra in particolare su come è venuto su il piccolo gruppo di LulzSec”. “Se Anonymous è stato il notiziario delle 6, LulzSez era il ‘Daily Show’, scrive infatti la giornalista. Secondo il Washington Post, Olson ha anche un altro merito, quello di aiutare i lettori a decifrare codici linguistici cibernetici sconosciuti ai più, lo slang del web per dirla in modo semplice, e riconoscere così i suoi abitanti esclusivi che comunicano via IRC (Internet Realy Chat) usando nickname come “TFlow” e “AVunit” e raramente si incontrano in IRL (in real life). \r\n\r\nE se Anonymous è un fenomeno internazionale, tra la polizia, nei vari paesi, non esiste ancora un accordo comune su come vigilare internet. All’arresto di “Tapiary” ne sono seguiti altri con un’enorme risonanza internazionale, tutti massimo ventenni, tutti originari di luoghi remoti di America, Inghilterra e Irlanda. Ma America Inghilterra e Irlanda non hanno adottato le stesse misure penali: in Usa stanno scontando 20 anni di carcere, in Irlanda alla fine le accuse sono cadute e sono stati rilasciati, in Uk, “Tapiary”, o meglio ormai Jake Davis, accusato di cospirazione, rischia anche l’accusa per frode e l’estradizione. Cosa succederà domani? Nessun lo sa. Intanto Anonymous promette di non fermarsi. Di continuare a turbare. Di prendere in giro. Di manipolare utenti internet. Di buttar giù grosse compagnie internazionali. Di colpire ancora. Chi sarà il prossimo?\r\n\r\nIl libro – Spalle larghe, capelli a spazzola e sguardo fiero, Aaron Barr era stato un militare specializzato in crittografia e sistemi informatici. Poi si era messo in proprio e vendeva i suoi servizi come esperto di sistemi di sicurezza al governo. Ultimamente, per farsi un nome, aveva deciso di fare meglio dell’Fbi nel risalire a un gruppo di hackeristi, hacker attivisti, chiamati Anonymous. Con uno pseudonimo, era entrato in contatto con alcuni di loro: Topiary, Sabu, Kayla. Una domenica di febbraio del 2011, a poche ore dalla finale del Super Bowl, Barr nota che il suo iPhone è stranamente silenzioso da un po’. Da troppo. Quello che scopre un attimo dopo cambierà tutto. La sua mail è bloccata, Twitter pure: il suo pensiero corre alle centinaia di file riservatissimi dell’Fbi, del Dipartimento della difesa, di grosse banche, da lui custoditi, che stavano per essere rubati. Anonymous lo aveva scoperto. Quella era la sua vendetta. \r\n\r\nFonte: Piemme