GERARDO DI LELLA, è un musicista eclettico, in grado di spaziare senza difficoltà dalla musica jazz alla musica pop, passando dalla musica dance alle colonne sonore per il cinema. Innovativo è il suo progetto Gerardo Di Lella Pop Orchestra plays Anni 70 ”The DANCE ERA”, grazie al quale ha portato per la prima volta in Italia la musica dance degli Anni 70 in un teatro, registrando il tutto esaurito al Teatro Sala Umberto di Roma. Noi l’abbiamo incontrato. Ecco cosa ci siamo detti.\r\n\r\nOgni nuovo lavoro è un modo per fare un punto della situazione. Quanto guardi al passato e quanto al futuro?\r\nCaratterialmente sono più propenso a guardare al futuro che al passato, ma ovviamente ogni tanto bisogna assolutamente guardarsi alle spalle per vedere se ci si è spostati in avanti. Con questo disco realizzo un sogno difficilissimo e, sebbene allo stato attuale non sia in grado di capire in che modo potrà influire sulla mia vita professionale, ho comunque la consapevolezza di essermi avvicinato a quel livello artistico che un tempo guardavo da lontano.\r\n\r\nQuali sono i tuoi compagni di viaggio?\r\nSicuramente sono tutti i musicisti con i quali collaboro ormai da anni, e che mi danno la possibilità di fare questo lavoro. Nel corso degli anni, anche intorno a me si è formato un pool di valenti professionisti in grado di rispettare i vari linguaggi che un arrangiatore è chiamato ad affrontare. Ho la fortuna di conoscere e di avere rapporti, oltre che professionali, anche d’amicizia, con musicisti che in questo campo sono assolutamente tra i migliori in Italia.\r\nQuando nasce la tua passione per il jazz?\r\nAvevo circa vent’anni quando incontrai un contrabbassista che suonava bene anche il piano e che mi fece subito innamorare di questo nuovo mondo. Era tutto diverso dalla musica che studiavo, mi sembrava tutto così magico e ne fui letteralmente stregato. Dopo poco conobbi un appassionato di jazz più grande di me che era vissuto in America e che mi fece ascoltare il primo disco per big band della mia vita: “Artistry in Rhythm” di Stan Kenton, rimasi incantato e impressionato dalla sua grande sonorità.\r\nCredi che si possa educare qualcuno all’ascolto?\r\nTutti possono essere educati all’ascolto, anzi dovrebbero… Sarebbe fondamentale se si iniziasse già a partire dalle elementari, far scoprire e approfondire il mondo dei suoni in età precoce è un lavoro importante, che rimane per tutta la vita. Sono sicuro che nel 90% dei casi delle persone a cui non piace il jazz, il vero motivo va ricercato nella incapacità d’ascolto, l’orecchio va allenato come tutte le altre cose.\r\nSecondo te quanto è jazz Napoli?\r\nNon sono uno che difende Napoli a spada tratta, anzi… ma non esiterei nemmeno un attimo a dire che Napoli è una delle città più jazz in assoluto… è una città assolutamente black, ma questa volta per fortuna nel senso buono del termine…\r\n\r\nCosa ti aspetti da questo nuovo lavoro?\r\nChe mi dia la possibilità di far conoscere a un pubblico più ampio il mio modo di scrivere e di lavorare, si, perché se manca lo sprone lavorativo manca purtroppo anche la voglia di mettersi all’opera.\r\n\r\nIntervista di: Elena Torre