\r\n\r\nBrano dalla sonorità reggae, arricchito da flussi dub e tribali in cui si da spazio alle note dell’interpretazione vocale\r\n\r\n”Lividi All’Alba” tratta l’illusoria dualità tra mente/corpo e anima, in una sorta di analisi dell’umana percezione di “lividi” esteriori e interiori; non vuole essere un giudizio concettuale, quanto un invito ad ascoltare il nostro Dio interiore. La produzione è di Marco Zangirolami.\r\n\r\nCoscienza cosmopolita nata e cresciuta tra le nebbie tossiche di Milano, con il fermo desiderio di creare ossigeno.\r\nAdoratore d’ogni forma d’arte e di bellezza sin dalle elementari, quando la nobile volontà di divenire guardia forestale fu cauterizzata dai miei primi passi nel catartico mondo della recitazione – che seguitò a cullarmi nel suo morbido velo per una decade e mezza. Parallelamente la mia anima di fanciullino comprendeva le scosse dell’impulso all’espressione, riservando un’importanza primaria alle facoltà immaginative che sublimava nella precoce creazione di valide opere in prosa (ricordiamo “Se fossi un pesce…” e “I genitori dovrebbero”) e a fumetti (“Hunter: gli attacchi dei Samors” è senza dubbio il più celebre). Il senso di potenza fu compensato dalla scintilla della consapevolezza dell’ignoranza socratica, che mi condusse volenteroso alla lettura e all’ammirazione dell’opera dei grandi. La musica dal canto suo, assumendo molteplici forme che andavano cangiando di ciclo in ciclo, m’accompagnava benevola nella scoperta del sublime: in principio furono i Beatles, grazie ai quali cominciai molto piccolo ad approfondire la lingua inglese; dischi su dischi si sovrapposero progressivamente alle musicassette dello Zecchino d’Oro (che mai rinnegherò!): il primo cd che acquistai coi miei soldini, alla tenera età di undici anni, fu un best dei Black Sabbath. Conobbi dunque, in concomitanza col progredire della rabbia adolescenziale, tutta la potenza dell’hard rock e l’energia del punk, gettando le solide radici d’una situazione che vede oggi il mio bagaglio musicale pregno nella sua maggior parte di composizioni che precedono la mia nascita. Alice Cooper! Jimi Hendrix, Who, Led Zeppelin, Doors, Sex Pistols, Ramones, Clash, Stranglers, Tom Waits, David Bowie, AC/DC, Iron Maiden, Kiss, Queen, Metallica, Steve Vai… Solo alcuni fra i tanti nomi che si sono imposti in me al punto da creare molteplici microdogmi dell’orecchio. Ciononostante la mia curiosità congenità mi riservò la facoltà di esplorare quasi tutti gli universi paralleli, dal jazz al reggae, dal blues alla classica, finchè inciampai nel gradino marmoreo del tempio pagano dell’hip-hop. N.W.A., Wu Tang Clan, Tupac e Notorious B.I.G., anche Eminem, dai… In alcuni trovavo una forza espressiva unica e spontanea, un’acutezza distruttiva paragonabile in un certo senso alle bottiglie che si prendeva in faccia Johnny Rotten ai concerti. In altri, ora in quasi tutti, prevaleva invece l’infantile buffonaggine autocelebrativa, con tanto di spot alla società dei consumi e delle apparenze, belle fighe, belle auto, belle catenazze. Li ho attraversati, fuoriuscendone illeso ed arricchito. Contro ogni mia previsione, la somiglianza alle competizioni aediche dei moderni contest di rime improvvisate m’affascino a tal punto che ne appresi le tecniche e la pignoleria metrica, sorvolando sulla zarraggine che pare intrinseca all’hip-hop; benchè anche la scena italiana m’abbia elargito delle soddisfazioni… Tre più uno, come in ogni numerologia religiosa; le mie fasi del gusto: Raige e Zonta in Tora-Ki, Kaos, Ghemon Scienz e, diverso e superiore, Caparezza (quest’ultimo, con Frank Zappa ed Elio e le Storie Tese, insegna qualcos’altro di fondamentale: il valore purificatorio di ironia e goliardia).\r\nFinchè la rabbia adolescenziale si esaurì con l’adolescenza, e proprio quando iniziai ad avvertire maggiormente la necessità di dedicarmi al mio Dio interiore, alla mia crescita spirituale, tolsi le bende dagli occhi rendendomi conto che i meravigliosi slogan di Bob Marley contenevano ben più di quello che avevo inteso precedentemente, che il reggae è un canto spirituale, veicolo d’una religione senza chiesa: dopo essermi dedicato per qualche anno al suo studio feci mia la morale Rastafarai, rendendola il perno del mio personalissimo sincretismo, profondamente influenzato dalla saggezza di tutte le culture mistiche.\r\nOggi considero l’arte un sublime strumento di catarsi, alambicco dell’opera alchemica collettiva.\r\nA mia volta sarò strumento dell’arte, sempre più specchio e sempre meno filtro.\r\n\r\nwww.pico.fm\r\n\r\nPROMORADIO ||| L’AltopArlAnte www.laltoparlante.it – 348.3650978