Incontriamo Sandro Fazzi, interessante autore da qualche giorno in libreria con La Progenie del Golem\r\n\r\nIl Golem è tradizionalmente il protettore degli ebrei indifesi. Ma Israele non è più indifeso: ha un esercito, persino delle armi nucleari. Non credi che forse siano altri ad aver bisogno dell’aiuto del Golem? Si dice “beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. Tempo fa ho seguito una intervista televisiva ad una famiglia italiana che abitava in Israele. Ogni mattina seguivano il bollettino meteo, a cura del locale ufficio meteorologico, ed il bollettino bombe, a cura del Mossad. Ogni mattina, in base a quest’ultimo bollettino, pianificavano il tragitto per andare a casa, o al lavoro. Ogni mattina, ogni membro della famiglia prendeva un mezzo di trasporto diverso dai suoi familiari. Nel caso che il bollettino avesse avuto torto, preferivano non perdere più di un familiare allo stesso tempo. Erano costretti a fare con le loro vite quello che un turista prudente fa con i suoi soldi: minimizzare eventuali danni. Un popolo che è costretto a vivere in questo modo ha, oggi più che mai, bisogno di aiuto.\r\n\r\nIl terrorismo, dopo l’11 settembre, è diventato un argomento spaventosamente attuale. Il tuo secondo libro, “Segnale di Chiamata”, parla diffusamente di terrorismo. Stai cavalcando l’onda? Sfruttando un argomento “di moda”? Si e no. Sono da sempre affascinato dai comportamenti umani estremi. Il terrorismo, con la sua componente morbosa, la sua dicotomia tra disumanità di azione ed estrema umanità di aspetto, mi affascina da sempre. Con queste premesse era inevitabile che scrivessi, prima o poi, uno o più libri in cui il terrorismo giochi un qualche ruolo. L’undici settembre, inoltre, è diventato un evento che fa parte del nostro immaginario collettivo. I piloti kamikaze che hanno demolito le Twin Towers hanno prepotentemente acquistato la sinistra fama che, prima di loro, toccava ad altri mostri del nostro inconscio: vampiri, lupi mannari e via dicendo. Altrettanto inevitabile che la narrativa cavalchi, come ha sempre fatto, l’onda delle paure ed angosce collettive. Gli anni 50, con la paura delle radiazioni nucleari, hanno visto innumerevoli opere su mostri mutanti generati dalle radiazioni. Il maccartismo, la paura del diverso, del vicino di casa agente russo in incognito, nemico travestito da amico, ci ha regalato l’inquietante capolavoro “I figli dell’invasione” di John Wyndham, gli orribili baccelli di “L’invasione degli Ultracorpi” ed altre opere di elevato livello. Gli anni a cavallo della fine del millennio, con la paura della genetica e della medicina avanzata, hanno partorito opere come “Virus Letale”. Quindi, rispondo “si e no”; non ho pianificato a tavolino di sfruttare il terrorismo, ma uno scrittore, inevitabilmente, prende ispirazione da quello che vede, sente e percepisce intorno a lui. Uno scrittore horror, il cui fine ultimo è esorcizzare le paure dei suoi lettori, inevitabilmente attingerà da quelle che sono le paura intorno a lui. Cosa non deve mai mancare in un libro che scrivi e in uno che leggi? All’americana, “what if” all’inizio, e “what of” alla fine. “What if=Cosa succederebbe se…” è la premessa su cui si basa più o meno tutta la narrativa contemporanea. Un inizio intrigante, con una premessa in grado di catturare l’attenzione del lettore e di tenerla ben stretta. Ma, allo stesso tempo, una premessa che sia, a modo suo, plausibile. Se l’Autore non riuscirà a renderla plausibile, la sospensione dell’incredulità verrà meno, ed il libro sarà malriuscito. Peggio ancora, il Lettore avrà la (giustissima) sensazione di essere stato imbrogliato. Esaurito l’effetto sorpresa, lo choc culturale, di una premessa di ferro, con una solida base scientifica ed una stupefacente novità, una trama avvincente, ricca di colpi di scena. Personaggi credibili e del tutto umani devono fare del loro meglio per uscire dai guai e risolvere una situazione pericolosa, contorta, potenzialmente letale. Un finale, aperto o no, che sia sorprendente ma logico, in cui tutti i nodi vengano al pettine. “What of=Che cosa ne è stato di…”: tutti i personaggi terminano la storia in un certo modo, tutti le sottotrame si risolvono, in un modo o nell’altro, o fanno da premessa per ulteriori storie. Con queste premesse, è difficile che mi piaccia un libro che leggo (Smile) e scrivere un romanzo nuovo è quasi un’impresa disperata (Smile)… Come hai costruito la progenie del Golem? Dopo il viaggio a Praga di cui ho detto, ho fatto delle ricerche, fino ad arrivare al nucleo di leggende sul Golem che mi hanno ispirato. Non una delle caratteristiche del mio Golem è del tutto inventata; tutto è ispirato dalle antiche leggende ebraiche. Una volta immaginato il Golem, ho pensato ad uno scenario degno di lui. La risposta mi è venuta subito, istintiva: Praga. Ma uno scenario, per essere tale, comprende anche il tempo. Che epoca scegliere? Volendo scrivere un horror, la scelta è stata obbligata: la seconda guerra mondiale. Quale orrore maggiore di sei infernali anni di incubo, al termine dei quali erano morte cinquanta milioni di persone e l’Europa intera era in fiamme? Il mio Golem e le sue spaventose gesta impallidiscono al confronto con questo tipo di atroce realtà… E questo mi ha dato anche due personaggi umani, un “buono” ed un “cattivo”. Non voglio anticipare troppo, ma non uso a sproposito le virgolette… Una volta che avevo gli attori, il palcoscenico e lo sfondo, ho scritto la trama. é stato difficile recuperare il materiale? Allora ero un neofita nella raffinata, difficile arte di cercare su Internet. Quindi si, è stato abbastanza difficile. Ma il mio secondo libro, “Segnale di Chiamata”, mi ha obbligato a ricerche molto più esaustive, complesse e sofisticate. Spero solo che, quando uscirà, i miei lettori apprezzino lo sforzo (Smile)! Conoscendo la storia si può prevedere il futuro? Una delle tante leggende ebraiche di Praga dice che un rabbino, forse lo stesso Rabbi Loew del Golem, fece costruire nel ghetto un orologio che andava all’indietro. Voleva che ognuno, guardando quel bizzarro orologio, ricordasse che il tempo può tornare indietro, ai vecchi orrori. Quindi si, se si conosce la storia si può almeno cercare di immaginare il futuro. Cosa hai in programma? Sto finendo di scrivere “Segnale di Chiamata”. Sarà il terzo libro di una trilogia sul Golem, ambientato ai giorni nostri; “La Progenie del Golem” è il primo libro di questa trilogia. Quando avrò finito, credo che mi dedicherò al secondo libro, il cui titolo provvisorio è “Pitbull”, e che si svolgerà nella Praga cupa ed oppressa dal regime sovietico degli anni Cinquanta. Una volta esaurito l’argomento Golem vorrei scrivere qualcosa su un altro mostro leggendario: lo spirito dei boschi che i nativi americani chiamano Wendigo. Non aspettatevi però una ghost story tradizionale (Smile)!!! Sto raccogliendo le idee per un libro su un demone del fuoco dell’antica Persia, il Djinn, ed un altro basato su uno spinoff della trilogia del Golem. Quest’ultimo si chiamerà “Vendetta Bianca” e vedrà una strana alleanza: un agente del Mossad ed un terrorista iracheno uniti dal comune interesse per salvare Gerusalemme da un attentato nucleare. Come pensi verrà accolto questo libro? Spero che venda milioni di copie e che la critica ne parli benissimo (Smile)!!! Dove si può comprare? Sul mio sito www.sandrofazzi.com oppure nelle librerie della catena Feltrinelli, su ordinazione.\r\n\r\nIntervista di: Sara Missorini\r\n\r\n