Ho incontrato la prima volta Enrica Bonaccorti al Caffè de La Versiliana a Marina di Pietrasanta in estate in occasione della presentazione del suo ultimo libro, L’uomo immobile. Ho deciso di approfondire alcuni temi e capire qualcosa in più su argomenti tanto importanti. Ecco cosa ci siamo dette…
Enrica Bonaccorti qual è il modo giusto di divulgare le basi cliniche scientifiche su cui si basano determinate sindromi come quella di locked-in?
Il modo giusto è quello più semplice, ed è il percorso da seguire per divulgare qualsiasi tema: informazioni corrette – parole semplici – spazio a più di un punto di vista. In questo caso, visto che è sì una storia d’amore ma si muove in un ambito scientifico, ho voluto che il mio libro fosse verificato e approvato da due importanti neurologi, che hanno grande esperienza proprio nel campo della coscienza. Non resisto a dire che andava tutto bene! E aggiungo che se ho capito io, possono capire tutti, perlomeno le basi per capire davvero di cosa si parla.
Quanta responsabilità hanno gli organi di informazione sull’atteggiamento spesso confuso delle persone su certi argomenti?
Tanta! È sbagliato scientificamente, umanamente, giornalisticamente, l’approccio corrente al tema del ‘fine-vita’. Se le opinioni precedono le informazioni, si arriva a definizioni assurde come ‘pro-vita’ e ‘pro-morte’. Manca ‘pro-Vercelli’ che almeno giustificherebbe il senso di tifoseria che si è instaurato su questo delicato argomento. Il rispetto che tanto s’invoca si dimostra con l’accettare tutte le opinioni, certo, ma dando prima le informazioni corrette perché si formino. In loro assenza, come possiamo fare un ragionamento? Si ignora ma si presume, si seguono soltanto reazioni emotive o ideologie, e così vince l’approssimazione. Soprattutto si fa confusione. Come quella di allineare Welby, Englaro e Monicelli sulla stessa linea di confine, oppure il lasciar pensare che il coma possa durare per anni, per decenni. Ma il pensiero per sua definizione deve essere informato e articolato, altrimenti diventa banale tifo a cui la politica a caccia di voti mette in testa un cappello coi paraocchi. Credo che solo la fede abbia il diritto di superare i ragionamenti ‘terreni’. Tutti gli altri, almeno su questo tema, facciano un passo indietro. Soltanto così le opinioni potranno formarsi finalmente autonome, ma dopo aver acquisito informazioni corrette, come sarebbe normale e logico, sperando che l’impronta emotiva non abbia già lasciato orme troppe profonde, sperando che non sia tardi.
Quando nasce il tuo interesse verso la medicina e le neuroscienze?
Ho messo nella biografia di uno dei personaggi del mio libro quello che accadde a me: a 17 anni mi ritrovai fra le mani un librone ‘La diagnosi differenziale delle sindromi neurologiche’ e mi innamorai del miracolo del nostro cervello. Magari non capivo niente, ma mi sembrava di intuire tutto.
Dal momento che questa passione ti accompagna da sempre, perché non hai poi intrapreso gli studi medici e sei invece entrata nel mondo dello spettacolo?
Meno male! Per me e per gli eventuali pazienti! Mi spaventava la lunghezza degli studi, all’epoca 6 anni + la specializzazione, e io avevo voglia di indipendenza. Poi mi spaventava la tanta chimica, i tanti nomi da memorizzare.. mi ero già misurata comunque con le mie reazioni in certe situazioni, e non avevo avuto problemi a passare un’ora in sala operatoria informandomi passo passo su quello che succedeva. Ma cominciai a fare teatro e andò subito bene. Meno male, perché dopo tre mesi dal mio debutto, il mio papà se ne andò all’improvviso, a 48 anni, e fu una benedizione che io stessi già lavorando e portando soldi a casa.
Quando hai deciso di scrivere la storia che narri ne “L’uomo immobile” e perché?
La casa editrice Marsilio, che aveva pubblicato il mio primo libro ‘La Pecora rossa’, mi chiese di scriverne un secondo, così tirai fuori il raccontino di poche pagine che avevo buttato giù circa dieci anni fa, impressionata da quello che mi aveva detto un mio zio neurologo, direttore di un Istituto clinico di accoglienza per la gestione del post-coma. Scrivevo da un paio di mesi quando scoppiò il caso Englaro e anche se il mio protagonista è in una sindrome diversa, è lo stesso territorio che attraverso su queste pagine, dove le emozioni si intersecano con le informazioni scientifiche, tutte vagliate da esperti clinici del settore. In questo libro, oltre la storia d’amore, c’è dunque la possibilità di trarre informazioni facili da comprendere, tutti strumenti verificati per farsi un’opinione, quale che sia ma finalmente autonoma, non condizionata da ideologie e fedi politiche.
Stai già lavorando ad un nuovo romanzo?
Da quando ho imparato a scrivere, non ho mai smesso! Scrivo ogni notte, ma ho ancora molti freni ad ‘aprire i cassetti’… mi sono decisa solo nel 2007 col primo libro, la storia di una ragazzina nata in mezzo all’ignoranza e al rifiuto, che si salva proprio grazie alla lettura. Saranno i libri a darle la forza e la ricchezza che non aveva avuto in dote. E anche se non è un’autobiografia (sono nata in una culla ben più fortunata) c’è tanta mia vita dentro. Non si scappa: quando si scrive, anche se non vorresti, la tua storia affiora sempre fra le pagine. E questo per me è un altro freno. Vedremo. Io comunque continuo a scrivere. Come sempre.
Intervista di Elena Torre