Legambiente chiede alla Soprintendenza per i Beni culturali e alla Regione Toscana di bloccare lo scempio edilizio nella tenuta di Rimigliano grazie a una variante al Regolamento urbanistico recentemente adottata dal Comune di San Vincenzo.\r\n\r\nIl documento prevede una vera e propria colata di cemento per la realizzazione di un albergo di 6.000 mq per 150 posti letto, di 180 appartamenti, una dozzina di piscine e centinaia di posti auto, frutto della ristrutturazione di vecchi poderi e di nuove costruzioni.\r\nPer le necessità produttive dell’azienda agricola, estesa su 560 ettari, sarebbero previsti solo 650 mq di annessi: un numero ridicolo addirittura per una piccola impresa agricola.\r\n\r\n“Denunciamo da anni il rischio speculazione nella tenuta di Rimigliano – dice Sebastiano Venneri, vice presidente di Legambiente -, area di grande pregio ambientale e paesaggistico e ultimo lembo sottratto, per ora, alla furia cementificatrice dell’amministrazione comunale. E’ necessario, a questo punto, l’intervento della Regione Toscana e della Soprintendenza, per bloccare un progetto che costituirebbe un precedente pericoloso. Se dovesse passare, infatti, questa variante sarebbe a rischio la salvaguardia delle aree di maggior pregio del paesaggio toscano”.\r\n\r\n“Per questa speculazione e l’inaugurazione farsa del nuovo porto di San Vincenzo, opera inutile e faraonica – dichiara Fausto Ferruzza, direttore di Legambiente Toscana – ci apprestiamo a consegnare al sindaco Biagi la nostra quarta bandiera nera. Un vero record di cattiva gestione del territorio. Abbiamo raccolto numerose firme, fatto appelli e sollecitato incontri con l’amministrazione comunale, ma questa è rimasta sorda a qualsiasi cambiamento di rotta ed è pronta a dare il via libera a una speculazione edilizia di circa 100 milioni di euro”.\r\n\r\nLa tenuta di Rimigliano è un’area di straordinario valore paesaggistico e ambientale passata, nel giro di diversi anni e altrettante vicende, da zona destinata a patrimonio protetto della costiera tirrenica toscana a semplice giardinetto.\r\n\r\nNei primi anni 70, infatti, la zona sembrava dover diventare una delle prime aree protette della Toscana. Dopo un periodo di abbandono, nel marzo del 1994 la Giunta comunale affidò la gestione del parco e delle strutture in esso situate, al Consorzio ECODOMUS, per opere di manutenzione e risanamento della fascia costiera. Inaspettatamente, però, nell’agosto 1996 la maggioranza decise un cambio di rotta. Quattro dei complessi presenti nel parco furono destinati a edifici per la ricettività turistico-alberghiera; con il Piano Strutturale del 1998, il Parco venne smantellato e diviso in cinque parti. Per la Tenuta, la parte più estesa, la previsione fu pesantissima: un maxi-albergo di 45.000 metri cubi, una sala congressi per altri 9.000 e ricettività turistica anche per i 45.000 metri cubi di volumetrie esistenti. Tutto il terreno venne dichiarato non espropriabile ed edificabile. A impedire la realizzazione dell’albergo subentrò però il fallimento della Parmalat, allora proprietaria dell’area. L’asta fallimentare fu vinta da una cordata di imprenditori che promisero nove anni di cantiere. L’Amministrazione, che avrebbe potuto a questo punto salvare il Parco chiedendo l’inserimento della Tenuta nelle aree protette della Regione Toscana e bloccare il Piano Strutturale, approvò invece una variante per altri 9.000 metri cubi di edifici senza specifiche su destinazioni d’uso e collocazioni, convalidando la possibilità di costruire fino a 17.500 metri quadri. Oggi quello che potrebbe essere l’atto finale.\r\nFonte: ufficio stampa Legambiente
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