Ogni anno in Italia, con la chiusura a ottobre della stagione di pesca del pescespada, riemerge con forza uno dei grandi mali della Pesca italiana: la diffusissima pratica dell’uso illegale delle reti derivanti, ovvero le spadare (messe al bando dalle Nazioni unite e dal 2002 in tutta l’Unione europea) e le ferrettare, utilizzate spesso in modo illegale. Attrezzi questi che comportano la cattura accidentale di diverse specie protette o a rischio come tartarughe, delfini, squali e balene. E’ questa la denuncia di Lav, Legambiente e Marevivo che con il dossier “La pesca Illegale, Non documentata e non Regolamentata nell’Unione Europea: il caso delle derivanti italiane” lanciano l’allarme sul mare di illeciti in cui si dibatte la pesca italiana.\r\n\r\nUna piaga ben documentata dagli organi di controllo, dalla Commissione europea e dalle stesse associazioni ambientaliste, con dati che permettono di avere una mappatura chiara del fenomeno: matricole, porto di registrazione, accesso ai finanziamenti pubblici, recidività nelle infrazioni, zone di pesca, tecniche per eludere i controlli. Eppure questa forma di illegalità non si attenua, con un 2010 ancora segnato da gravissimi casi di malapesca e ben 37 pescherecci sanzionati per uso illegale di reti derivanti solo nei primi sei mesi dell’anno. Ne nasce così anche una vera e propria mappa dei porti italiani dove è maggiore la concentrazione di pescherecci che pescano illegalmente con le reti derivanti, ai quali le associazioni ambientaliste hanno assegnato la “bandiera pirata”.\r\n\r\nLa Pesca Illegale, Non dichiarata e Non documentata (Pesca INN) – spiegano le associazioni – contribuisce allo sfruttamento eccessivo degli stock ittici, danneggia gli ecosistemi marini e costituisce una forma di concorrenza sleale nei confronti dei pescatori onesti. Si stima che il volume d’affari della pesca illegale a livello mondiale possa essere superiore a 10 miliardi di euro.\r\n\r\n“In Italia il problema è aggravato dalla mancata applicazione di sanzioni efficaci che non consente di intensificare le misure repressive – dichiarano i rappresentanti di Lav, Legambiente e Marevivo – A ciò si aggiungono gli atteggiamenti di tolleranza, talvolta al confine con la compiacenza che spesso si riscontrano da parte delle autorità italiane nei confronti di chi opera al di fuori delle norme”.\r\n\r\nLa lista allegata al rapporto elenca le barche sanzionate negli ultimi sei anni dalle Capitanerie di Porto e quelle segnalate dalle associazioni ambientaliste: si tratta di circa 300 pescherecci, che hanno utilizzato illegalmente le reti derivanti, registrati principalmente nei porti di Ponza, Bagnara Calabra, Lipari, Porticello, Santa Maria La Scala. Questi scali ospitano oltre un terzo di tutta la flotta ‘pirata’, ampiamente tollerata dalle autorità locali: eclatante il caso del comune di Acitrezza dove a giugno di quest’anno si è organizzata addirittura la “Sagra del Pescespada di San Giovanni” pescato dalle “storiche spadare trezzote”. La maggior parte dei pescherecci riportati nella lista nera è stata sanzionata più volte, alcune a distanza di pochi giorni. La sanzione massima prevista è di soli 4.000 euro, la metà o ancor meno per chi patteggia; il sequestro delle reti, spesso non viene confermato dai giudici con conseguente restituzione delle stesse ai proprietari che riprendono a pescare illegalmente. L’unica misura davvero dissuasiva, contenuta in un Decreto Ministeriale del 1998, prevede la sospensione dell’autorizzazione di pesca dai 3 ai 6 mesi ma non risulta sia mai stata applicata e lo scorso ottobre la Direzione Generale della Pesca del Ministero dell’Agricoltura ne ha addirittura sconsigliato l’applicazione. Nonostante l’Italia sia stata già stata condannata dalla Corte Europea di Giustizia per il lassismo con il quale gestisce l’emergenza delle reti derivanti illegali e la Commissione abbia imposto la restituzione di 7.7 milioni di euro percepiti per la riconversione delle spadare verso altri sistemi di pesca meno distruttivi. Come segnala il dossier, circa 100 pescherecci che usufruirono di questi contributi hanno continuato ad usare le reti illegali.\r\n\r\nAlla vigilia dell’importante processo di riforma della Politica Comune della Pesca, tollerare la presenza di una delle flotte di pesca illegale più vaste del Sud Europa, porta la credibilità dell’Italia agli occhi degli altri Stati membri ai minimi storici. “Il ripristino della legalità nella pesca non solo è una condizione indispensabile per il recupero degli ecosistemi marini ma è anche un elemento imprescindibile per lo sviluppo di una pesca realmente sostenibile – hanno aggiunto LAV, Legambiente e Marevivo – E’ nell’interesse della parte sana del settore garantire che chi viola le regole venga escluso dalle attività di pesca. Per questo l’applicazione delle nuove sanzioni previste dall’Unione Europea nei confronti di cittadini e pescherecci europei coinvolti nella pesca INN potrebbe costituire un serio deterrente alla pesca pirata”.\r\n\r\nPer contrastare le violazioni, l’Unione Europea, infatti, ha approvato un nuovo regolamento sulla Pesca INN entrato in vigore il 1 gennaio 2010. A differenza degli ultimi otto anni esistono oggi strumenti che consentono alla Commissione europea di intervenire sugli Stati membri inadempienti con tempi più rapidi e sicuramente più incisivi delle procedure di infrazione. In questo senso il Mediterraneo rappresenta dunque un importante banco di prova per la strategia dell’Unione sulla Pesca INN.\r\n\r\n“E’ necessario, pertanto – concludono le associazioni ambientaliste – che la Commissione Europea applichi all’Italia la sanzioni previste dal Regolamento INN che prevedono la sospensione degli aiuti comunitari destinati alla pesca e l’inserimento in lista nera dei pescherecci pirata. Solo attraverso un’azione decisa, infatti, si potrà sradicare il fenomeno delle reti derivanti illegali dai porti italiani e dimostrare agli operatori e all’opinione pubblica l’impegno concreto dell’Unione Europea contro la pesca illegale”.