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Conosciamo meglio MY ESCORT

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Grafica Divina
L’equilibrio è un estratto da “Canzoni in Ritardo”, l’album dei My Escort, e mette in scena il conflitto tra ciò che il sistema ci porta ad essere e ciò che invece si vorrebbe intimamente, lontani da influenze e costrizioni esterne; la dicotomia tra la realtà da un lato, fatta di scadenze, apparenza, ansia, tempi stretti, il lavoro e la conseguente “vita in affitto”, l’omologazione e la relativa tensione alla spersonalizzazione e l’inconscio dall’altro, che stanco vorrebbe liberarsi di tutto ciò, elevandosi, rischiando senza difese di gettarsi nell’ignoto alla ricerca del vero senso del vivere.\r\nTematicamente il brano così come l’album ruota costantemente attorno al noto concetto del “vorrei ma non posso”, generato da una conflittualità interna con cui non siamo ancora scesi a patti.\r\nNello specifico parliano al contempo di una relazione (con l’altro e con noi stessi) che non riesce ad essere vissuta, ben sapendo che sarebbe estremamente semplice farlo se solo la nostra esistenza non reggesse da tempo su contraddizioni e compromessi tali da porci costantemente in bilico su di un filo statico, incapaci di prendere una decisione risolutiva mentre il tempo scorre inesorabile facendoci perdere consapevolmente e costantemente l’appuntamento più importante, quello con la piena libertà di esprimere la nostra natura, l’unica cosa che probabilmente ci permetterebbe di essere davvero felici.\r\nNati dalle ceneri dei Dardo Moratto nella primavera del 2010, hanno attraversato gli ultimi anni tra prove, arrangiamenti e cambi di formazione. Il loro primo album si intitola “Canzoni in ritardo”. La produzione artistica è stata seguita da Matteo Franzan (Lost, SuperWanted, Dardo Moratto, Take away).

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Noi abbiamo voluto sapere qualcosa in più sulla loro musica e così abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro.

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Ecco cosa  Aessio ci ha raccontato

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\r\n\r\nIn Canzoni in ritardo si mette in luce un importante ed eterno conflitto... come rimanere legati a ciò che realmente si è?\r\n\r\nLa realtà è che a mio avviso la risoluzione del conflitto ha una risposta apparentemente semplice: basterebbe avere il coraggio di guardarsi allo specchio, di accettare le proprie brutture, le proprie debolezze, così come i lati in luce. Fatto questo,  concentrarsi, farsi delle domande, magari aiutati da una situazione consona, in uno stato di tranquillità o di solitudine e provare ad ascoltarsi. \r\nIl più delle volte il conflitto non è quindi legato alla teoria e al capire chi si è realmente, bensì al coraggio di prenderne atto e di agire di conseguenza. Ci si può scoprire a vivere una vita che non ci appartiene del tutto, piena di regole e di abitudini che poco a poco ci plasmano, altre volte ci soffocano.\r\nLa mia risposta alla tua domanda perciò è: essendo molto vigili, presenti a sé stessi, ascoltandosi e limitare al minimo i compromessi perché inevitabilmente arriva un momento in cui la vita ci presenta il conto e a volte rischia di essere davvero troppo salato. Per chiudere, aggiungo che certe frasi fatte, come ad esempio “meglio tardi che mai” per me non sono sempre corrette. A volte purtroppo quando è tardi, è tardi e basta.\r\n\r\nQuanto ciò che ci circonda ci influenza? E perchè?\r\nParlo per me ovviamente. Mi trovo rassomigliante in questo senso ad una spugna, sono molto curioso, mi è assolutamente naturale assorbire le energie di ciò che mi circonda. Sono peraltro dotato di spirito critico e se cambio direzione dipendente da un'influenza esterna è perché l'ho soppesata e ritenuta valida al punto di mettermi in discussione.\r\nAllo stesso modo chi è debole o con una personalità non del tutto formata, a meno che non sia un eremita,ma dubito in questo caso che la sua sia una personalità non formata, vive come me all'interno di un flusso. Il flusso sia che possieda un moto e una direzione sia che subisca delle temporanee interruzioni è comunque pregno di energia ed in   genere chi ne è carente ne subisce per l'appunto l'influsso (vi scorre dentro).\r\nCiò che ci circonda ci influenza quindi nella misura in cui noi riusciamo a contrapporci, un po' come i salmoni che risalgono le correnti. Ha a che fare con la nostra energia interiore, con la nostra anima, con la nostra conoscienza.  \r\n\r\nChi è immune da tutto questo?\r\nCredo, in ultima analisi e ricollegandomi alla risposta precedente, che solo un sapere profondo, legato sia allo studio che all'esperienza possa donare la libertà e la forza necessarie per poter contrastare serenamente il fiume in cui siamo immersi, forse al tal punto da poter intendere nel senso più pieno il detto “lasciarsi scivolare le cose addosso”.\r\nLunghi studi ed esperienza sono legati necessariamente al concetto del tempo che passa; facile quindi che solo persone non più giovanissime  possano davvero ritenersi sagge e difficilmente influenzabili. \r\nBisognerebbe poi chiedersi se è davvero così brutto essere “influenzabili”, perché, visto nella prospettiva del mettersi in discussione può tranquillamente ritenersi l'anticamera dell'evoluzione, del miglioramento, dell'umiltà. A mio avviso è perciò giusto che a seconda della propria esperienza, della propria età si possa essere più o meno “immuni” (come di ci tu) a ciò che ci circonda.\r\n\r\nQuale il filo rosso del vostro album?\r\n Il filo rosso di Canzoni in ritardo è certamente la consapevolezza che ogni relazione, sia essa lavorativa, amicale, amorosa, con sé stessi, con l'ambiente, dovrebbe essere       vissuta senza dare nulla per scontato.\r\nLa vita riserva SPESSO delle sorprese e per quanto lungimiranti, stressati, brillanti, arrabbiati, calcolatori, frivoli, pantofolai si possa essere, ci si può trovare spiazzati per averla trattata con superficialità. Una persona può avere tutte le scuse del mondo, tutte le giustificazioni possibili, ma quando arriva qualcosa a cui non eravamo preparati potrebbero essere grandi gioie o grandi dolori. Il filo rosso è la ricerca della consapevolezza, dell'essere il più possibile presenti a sé stessi.\r\n\r\nQuale il messaggio di fondo che maggiormente vi preme?\r\nA dispetto del titolo che chiude il disco “Le cose non cambiano mai” (una canzone romantica su una relazione che non è mai iniziata e mai finita per davvero), ciò che mi preme sottolineare è che in un battito di ciglia tutto può cambiare.\r\nPotrebbe sembrare una banalità, ma vivere cercando di dare la giusta importanza ai miei agiti, arrivare alla fine della giornata guardandomi alle spalle e ritenermi soddisfatto è un traguardo che ancora oggi, alla non più tenera età di 39 anni, sto cercando di perseguire. Mi sento spesso in colpa per non fare sempre del mio meglio. Non voglio insegnare niente a nessuno, tante volte scrivo per mettere dei puntini sulle i, per fissare dei momenti della mia esistenza, per dare voce ed elaborare in seguito degli spunti, per esorcizzare qualche brutto momento. Sicuramente il messaggio più presente nelle cose che scrivo fa rima col cercare di vivere pienamente.\r\n\r\nSi può essere felici?\r\n E' una domanda estremamente personale. Penso che si possa essere felici perché ho coscienza di esserlo stato. Implicitamente, parlando al passato, intendo anche che la felicità sia uno stato continuamente soggetto a cambiamento. Un po' come lo stato di salute è il traguardo di un organismo costantemente minacciato ed insultato da agenti esterni, batteri, virus, lo stato di felicità è qualcosa che io perseguo ma che raggiungo e perdo di continuo a causa di una costante aggressione da parte di una moltitudine di variabili imprevedibili. Credo comunque che questo stato/moto accomuni molte persone e di riflesso penso si tratti più di norma che di sfortuna.\r\nNon escludo però l'ipotesi che qualcuno riesca a mantenere lo stato di felicità, una volta acquisito. Se non fosse così, probabilmente non mi ritroverei nemmeno, di tanto in tanto, a tentare la sorta al gratta e vinci.\r\nSe dovessi quindi condensare la risposta in cinque parole direi: ci spero, perciò ci provo.\r\n\r\nQuale ruolo dovrebbe avere la musica oggi per voi?\r\nParlo a titolo personale. Non credo la musica debba avere un ruolo. Se così fosse mi toccherebbe di eliminarne parecchia.\r\nCredo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole in questo specifico settore. La musica è arte, l'arte dovrebbe avere tra i suoi comuni denominatori la libertà di espressione ed in quanto tale non mi permetto di incasellarla ad interno di un ruolo.\r\nSe proprio dovessi trovarne uno, direi quindi che il ruolo della musica oggi dovrebbe essere quello di rappresentare il più onestamente possibile la personalità e le idee di chi la crea. \r\nLe persone dovrebbero avvicinarla a seconda delle proprie tensioni, trovandola credibile, sincera, capace in qualità di potente archetipo di trasmettere delle visioni, degli stati d'animo, del calore.\r\nSe al posto di “dovrebbe” avessi scritto “ti piacerebbe avesse”, avrei risposto: un ruolo terapico e di stimolo. Mi piacerebbe che la musica potesse far star bene la gente e che riuscisse a farla riflettere.\r\nCredo invece che la mercificazione di tale strumento l'abbia ammalata di ipocrisia. Fatico a credere che la gente, ascoltando certe sciocchezze contenute in molte “hit” possa davvero arrivare a riconoscersi o a credere che quell'interprete abbia vissuto realmente quella specifica esperienza. \r\nOggi è palese che moltissima della sbobba che passa per i soliti mezzi di diffusione è lì solo per occupare un posto che nel giro di due mesi verrà occupato da nuova sbobba.  Con questo violento e forzato turnaround la musica ha perso moltissimo del suo valore arrivando a vestire ormai solo i panni dell'intrattenimento da un lato e di (sempre più scarsa) fonte di reddito dall'altra.\r\n\r\nCosa non possiamo non sapere su di voi?\r\nChe nonostante l'età e l'apparente serietà, un demente è per sempre.\r\n\r\nIntervista di Matilde Alfieri\r\n

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